venerdì 20 giugno 2008

Sospendere i processi: Berlusconi e Clinton

Contrariamente a quanto molti amici scrivono, l’idea di sospendere i processi a carico delle massime cariche dello Stato fino a che gli accusati restano in carica non è “inaudita” nelle democrazie occidentali. La Francia ha approvato una legge (molto ad personam, a dire il vero) durante la presidenza Chirac e, soprattutto, c’è il caso di Bill Clinton, che nel 1996 chiese alla Corte Suprema di rinviare fino alla fine del suo mandato lo svolgimento della causa civile per molestie sessuali promossa contro di lui dalla signorina Paula Jones (i termini per l’azione penale erano scaduti). In questo caso, le posizioni erano invertite rispetto a quelle italiane: il partito democratico era per rinviare il processo (civile, non penale, si badi bene) e il centrodestra era furiosamente deciso a processare Clinton ad ogni costo (le due tesi sono riassunte nell’eccellente pamphlet del famoso pubblico ministero Vincent Bugliosi).A differenza dell’Italia, però, Clinton non chiese affatto al Congresso di varare una legge che lo mettesse al riparo dai processi, legge che sarebbe stata incostituzionale esattamente come la nostra legge 140 del 20 giugno 2003, annullata dalla Corte Costituzionale nel 2004, più nota come “lodo Schifani”. Fu costretto a mandare i suoi avvocati davanti alla Corte Suprema dove questi chiesero rispettosamente ai nove giudici di prendere in considerazione la perdita di tempo e di concentrazione che un processo comportava, danneggiando gli affari di Stato. E quale fu la risposta dei giudici? Gli risero in faccia.Durante quegli scambi di opinioni con gli avvocati che vengono chiamati oral arguments, il giudice Scalia disse: “Vediamo presidenti che vanno a cavallo, tagliano la legna, vanno a pescare, giocano a golf e così via (…) se gli avvocati del Presidente possono garantire che non lo vedremo mai più giocare a golf per il resto del suo mandato potremmo prendere sul serio la loro richiesta di sospensione del processo” (13 gennaio 1997). Scalia non è iscritto a Magistratura Democratica: le sue posizioni giudiziarie sono, grosso modo, affini a quelle di Torquemada e le sue simpatie politiche vanno a Tamerlano.Con la sentenza Clinton versus Jones, la Corte Suprema fu unanime (caso rarissimo negli ultimi 30 anni) nel respingere la richiesta di sospensione. Il processo andò avanti e, da un suo ramo collaterale, nacque più tardi il caso Clinton-Lewinsky, con relativo processo per impeachment, nel quale Clinton fu poi assolto (resoconto completo nel mio libro La nuova macchina dell’informazione).C’è un altro aspetto del problema: mercoledì 18 giugno, il Senato italiano ha votato un emendamento che sospende i processi per una serie di reati commessi fino al 2002. Ora, supponiamo che Clinton avesse chiesto al Senato una leggina per sospendere tutti i processi d’America per reati commessi fino al 1992, cosa sarebbe successo?Nell’epoca della Tolleranza Zero, in cui a New York chi beveva una bottiglietta di birra sulla pubblica via veniva arrestato e processato immediatamente, una proposta del genere avrebbe avuto una sorte prevedibile: in Senato, se mai un senatore amico della famiglia Clinton avesse avuto lo stomaco di chiedere la votazione, il risultato sarebbe stato 99 a 0 (con il presentatore dell’emendamento astenuto per decenza).Il giorno stesso, i membri del governo avrebbero attivato una procedura prevista dal XXV emendamento della Costituzione: la rimozione del Presidente dalla sua carica per “incapacità a svolgere i doveri del suo ufficio”. Questo emendamento, ratificato nel 1967, ha lo scopo di garantire la continuità del governo nel caso il presidente sia gravemente ammalato (era accaduto a Woodrow Wilson, colpito da un ictus nel 1919), colpito da senilità o da pazzia: tutte ragioni che non consentono la sua rimozione attraverso la complicata procedura dell’impeachment.Poiché un Presidente che pensasse di attaccare i giudici, sospendere i processi e procurarsi un’immunità che la legge non gli offre dev’essere palesemente fuori di senno, i membri del gabinetto di Clinton, dal ministro della Giustizia Janet Reno al Vicepresidente Al Gore avrebbero indirizzato ai leader della Camera e del Senato la dichiarazione richiesta dall’emendamento che Clinton era “incapace di svolgere i doveri del suo ufficio” e, ipso facto, Gore sarebbe diventato Presidente (“the Vice President shall immediately assume the powers and duties of the office as Acting President”). In caso di resistenza da parte di Clinton, nella forma di una lettera in cui avrebbe sostenuto di essere sano di mente (anche se politicamente un paria) sarebbe stato il Congresso a decidere, a maggioranza di due terzi, sulla questione. Chissà come sarebbe andata, nelle elezioni del 2000, se Gore fosse già stato Presidente.Certo, l’America è l’America…
Fabrizio Tonello