mercoledì 30 luglio 2008

martedì 29 luglio 2008

Due potenziali vicepresidenti




Due potenziali vice di Obama. Chuck Hagel, senatore repubblicano del Nebraska. E Jack Reed, senatore democratico del Rhode Island.

domenica 27 luglio 2008

giovedì 24 luglio 2008

"Perchè sono repubblicano"




Un giovanissimo supporter di McCain ha registrato questo video per spiegare perchè ha scelto di essere repubblicano.

mercoledì 23 luglio 2008

La love-story tra Obama e i media americani




Un divertente video realizzato dalla campagna di McCain che prende in giro la "luna di miele" tra Barack Obama e alcuni media americani.

martedì 22 luglio 2008

Pompate, pompate, pompate!



Un video di McCain sul prezzo della benzina e la necessità di trivellare le coste americane per ottenere più petrolio "nazionale" e fare abbassare i prezzi.

venerdì 18 luglio 2008

Il Congresso americano e l’Iran

Washington D.C. – In un clima di generale di cauta apertura verso l’Iran, il Congresso degli Stati Uniti rimane, da solo, trincerato dietro una politica aggressiva e punitiva nei confronti di Teheran.Mercoledì, il Presidente George W. Bush ha annunciato che manderà l’Ambasciatore William Burns, sottosegretario agli esteri e uomo di punta dell’Amministrazione sull’Iran, come osservatore all’incontro che si terrà a Ginevra il prossimo 19 luglio tra rappresentanti del governo iraniano e del gruppo P5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania) e dove si discuterà della possibile via diplomatica per la risoluzione della crisi nucleare. Burns parte per la Svizzera con il compito di ascoltare quali siano, nella pratica, le richieste di Teheran.La settimana scorsa, in una testimonianza di fronte alla Commissione Relazioni Estere del Senato, Williams Burns aveva sottolineato che “il comportamento del regime iraniano pone una minaccia seria alla stabilità del mondo,” ammettendo però che è giunto il momento che Washington persegua una strategia che metta pressione sul governo di Ahmadinejad ma che, al contempo, renda chiaro a Teheran quali siano siano i vantaggi di un’eventuale cooperazione con la comunità internazionale. “Sono convinto che non possiamo farlo da soli e che una forte coalizione internazionale sia essenziale,” ha detto il sottosegretario Burns rivelando un inusuale propensione al multilateralismo da parte dell’Amministrazione Bush.Il quotidiano inglese The Guardian, inoltre, ha riportato giovedì che gli Stati Uniti starebbero preparandosi ad inviare una propria rappresentanza diplomatica a Teheran per la prima volta dalla Rivoluzione Islamica del 1979 e che Washington potrebbe aprire una sezione d’interesse americano presso l’Ambasciata Svizzera a Teheran già dal mese prossimo. Nel frattempo però, il Congresso pare determinato a complicare la situazione. Martedì, i Senatori Christopher Dodd (Democratico del Connecticut) e Richard Shelby (Repubblicano dell’Alabama) hanno annunciato di aver trovato un accordo bipartisan per una proposta di espansione delle sanzioni sull'Iran. Il Comprehensive Iran Sanctions, Accountability and Divestment Act of 2008 prenderebbe il posto dell’attuale Iran Sanctions Act, apportando poche modifiche sostanziali e comunque mantenendo un approccio alla questione iraniana che, secondo molti, potrebbe mettere in pericolo non solo gli sforzi diplomatici verso Teheran, ma anche le relazioni degli Stati Uniti con l’Unione Europea, la Russia e l’India.Ancora più preoccupante è la proposta di una nuova risoluzione che, in pratica, autorizzerebbe il Presidente a dichiarare guerra all'Iran, prima ancora che una richiesta di tale genere venga avanzata dall'Amministrazione. Si tratta dei due testi paralleli H. Con. Res. 362 e S. Res. 580, sotto esame rispettivamente alla Camera e al Senato. Se approvata, la risoluzione richiederebbe che il governo degli Stati Uniti si impegni a far rispettare le sanzioni sull'Iran a tutti i costi, inclusa la possibilità di ordinare un blocco navale, considerato in senso militare come un vero e proprio atto di guerra. "Neanche all'epoca della crisi missilistica di Cuba, il Presidente Kennedy autorizzò il blocco delle navi sovietiche, bensì chiamò l'azione militare intrapresa una 'quarantena navale'," mi ha detto per telefono mercoledì Laurence Korb, ex-Assistente al Ministro della Difesa e co-firmatario, assieme ad altri due ex-militari americani, di una lettera inviata ai membri del Congresso che chiede che la risoluzione venga abbandonata in quanto “rischia senza dubbio di mandare un segnale agli Iraniani, all’Amministrazione Bush, e al mondo intero, che il Congresso sostiene una politica più belligerante verso l’Iran e, eventualmente, azioni belligeranti contro l’Iran.” Secondo Korb, per fortuna, la risoluzione non ha poi molte possibilità di essere approvata, a meno di modifiche significative. "Più che altro è un modo, per il Congresso, di difendersi da future accuse di essere stati troppo teneri con l'Iran, dovesse succedere qualcosa di terribile. È un pò come dire all’Esecutivo; ‘Vi abbiamo concesso tutta l’autorità di cui avete bisogno. D’ora in poi, l’Iran è un problema vostro.’"
Valentina Pasquali

Roosevelt e Colui-Che-Non-Può-Essere-Nominato

E’ caldo, questo Paese ha perso la testa, le parole non hanno più alcun significato e i politologi vogliono “educare l’elettorato” invece di capire come funziona il sistema politico. I lettori della newsletter saranno quindi indulgenti con me per l’accostamento blasfemo che ho fatto nel titolo tra Franklin Delano Roosevelt e il politico italiano noto come Colui-Che-Non-Può-Essere-Nominato (men che meno da Veltroni in campagna elettorale).Colui-Che-Non-Può-Essere-Nominato ha riempito le pagine dei quotidiani, da quando è tornato al potere, con i suoi progetti di riforma della giustizia, a suo dire necessari per “permettergli di governare” e per “metter fine alle aggressioni di una magistratura ostile”. Forse non tutti sanno che problemi simili ebbe anche Roosevelt, dopo la trionfale rielezione nel novembre 1936 di cui abbiamo accennato la settimana scorsa. Nel caso del presidente americano non c’erano però motivazioni personali, come inchieste per corruzione, perché sappiamo che negli Stati Uniti la giustizia la prendono sul serio, invece di ribattezzarla “giustizialismo” com’è di moda in Italia fra gli ignoranti che non hanno mai sentito parlare del movimento di Juan Domingo Peron in Argentina, unico titolare del marchio (vedasi filmato su YouTube per chi ha bisogno di corsi di recupero).No, il problema di Roosevelt era che effettivamente la Corte Suprema gli impediva di governare annullando tutti i principali provvedimenti del New Deal in nome dell’ortodossia economica di cui si faceva paladina. La reazione del presidente fu una proposta straordinaria: allargare la composizione della Corte da 9 a 15 giudici, approfittando di una scappatoia costituzionale. L’articolo III della carta fondamentale degli Stati Uniti, infatti, prescrive che ci sia una Corte Suprema ma non specifica il numero dei giudici, quindi una legge ordinaria sarebbe stata sufficiente per portare il numero da 9 a 15, o anche a 99, in teoria.Il 9 marzo 1937, Roosevelt cercò di presentare la sua riforma scegliendo un basso profilo ma, naturalmente, tutti sapevano che lo scontro era politico. Benché fosse stato rieletto con maggioranze oceaniche e disponesse di una maggioranza parlamentare amplissima, Roosevelt incontrò immediatamente una forte opposizione, sia all’interno del suo gabinetto che in Senato, mentre i giornali battezzarono la riforma Court-packing plan (piano per “imbottire” di giudici fedeli la Corte suprema). In commissione, i senatori definirono il progetto “un abbandono dei principi costituzionali inutile, senza precedenti, futile e pericoloso”. Roosevelt contava ancora sul voto in aula ma il leader dei senatori Joseph Robinson morì proprio alla vigilia dello scrutinio, il 14 luglio 1937, lasciando il gruppo democratico in Senato privo di guida. Il risultato fu un voto schiacciante contro il progetto: 70 a 20.Forse sarebbe troppo chiedere all’attuale presidente del Senato di mostrare altrettanta sollecitudine per le sorti della nostra Costituzione, visto che era uno degli artefici dello sciagurato progetto di revisione cancellato a larga maggioranza da un referendum popolare nel corso del precedente mandato di Colui-Che-Non-Può-Essere-Nominato. Né possiamo aspettarci soverchia preoccupazione per la separazione fra Esecutivo e Giudiziario da parte di chi ha ripreso in toto i progetti della P2 per mettere i pubblici ministeri agli ordini del governo. E nemmeno dovremmo dare per acquisito che i nostri attuali ministri intendano il significato di Rule of Law, tre semplici parolette inglesi di origine liberale-doc.Possiamo soltanto sperare che, in mancanza di meglio, l’esperienza della sconfitta di Roosevelt faccia riflettere, se non Colui-Che-Non-Può-Essere-Nominato almeno qualche componente della sua maggioranza, dove non tutti sono entusiasti di spendere capitale politico sul tema dell’immunità per la classe politica (quella che negli Stati Uniti ovviamente non esiste, cosa che a quanto pare sfugge ai commentatori del Corriere della sera).
Fabrizio Tonello

giovedì 17 luglio 2008

McCain si rivolge agli ispanici



Conscio dei sondaggi che lo danno nettamente distaccato da Obama nelle preferenze degli elettori di origine ispanica, John McCain si rivolge a loro con questo video, che probabilmente avrà un effetto opposto a quello voluto (al contrario di Bush, che parla decentemente spagnolo, qui McCain parla in inglese con i sottotitoli).

mercoledì 16 luglio 2008

I veterani per la continuazione dell'occupazione dell'Iraq

In risposta allo spot di MoveOn sul ritiro delle truppe USA dall'Iraq, un'altra ed opposta organizzazione politica indipendente fatta di veterani di guerra e chiamata Vets for Freedom produce la propria pubblicita' televisiva per sottolineare che il lavoro in Iraq "va finito, chiunque sia il prossimo presidente."

MoveOn sull'Iraq

L'organizzazione politica indipendente di sinistra MoveOn ha prodotto uno spot televisivo che chiede il ritiro delle truppe americane dall'Iraq.

Un secondo spot di Obama sul terrorismo

La campagna di Barack Obama lancia il secondo spot televisivo consecutivo a proposito di terrorismo internazionale e armi nucleari.

La politica estera di McCain

In contemporanea al rivale democratico Barack Obama, anche John McCain ha affrontato i temi piu' caldi di politica estera in un discorso fatto mercoledi' ad Albuquerque, Nuovo Messico. Qui il testo del discorso.

Cercare petrolio. Ovunque




Un cavallo di battaglia di McCain. Una soluzione al caro-petrolio che sembra al momento la piu' gradita all'opinione pubblica statunitense: trivellare il terreno patrio alla ricerca di petrolio, ovunque sia possibile. Anche offshore, in Alaska e in altre zone protette. E' la stessa posizione espressa qualche settimana fa dal presidente Bush.

martedì 15 luglio 2008

Un nuovo spot elettorale di Obama

La campagna del Senatore dell'Illinois ha lanciato oggi una pubblicita' della durata di 30 secondi da trasmettersi sui canali televisivi di tutti i battleground states (gli stati contesi dai due candidati). Il titolo dello spot e' "America's Leadership", e Obama vi affronta i temi delle armi nucleari e della propria preparazione a diventare Comandante-in-Capo in questo difficile momento storico.

La politica estera di Obama

Barack Obama ha presentato il proprio programma di politica estera in un discorso fatto mercoledi' al Ronald Reagan Building a Washington D.C. Obama ha parlato di Iraq, Afghanistan, Pakistan e Iran. Qui il testo del discorso.

Obama torna con eleganza sul tema della discriminazione razziale in America

Dopo il famoso discorso di Philadelphia, Barack Obama torna a parlare di razza, discriminazione e giustizia sociale a Cincinnati, nella giornata di apertura del congresso nazionale della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People.) Qui il testo integrale del discorso e qui un comento interessante di Joan Walsh su Salon.

lunedì 14 luglio 2008

McCain, Obama e il voto dei latinos




L'elettorato ispanico potrebbe risultare decisivo in stati chiave come la Florida. E sin dalla campagna per le primarie, Obama e McCain stanno corteggiando i "latinos" con spot mirati e dichiarazioni su temi come l'immigrazione, molto cara agli americani di fresca cittadinanza. In questo video, Jeff Greenfield della CBS fa il punto della situazione.

venerdì 11 luglio 2008

L'Estate dell'Amore

In uno spot presentato martedi' dalla campagna di John McCain e che verra' trasmesso in tutto il paese, il Senatore dell'Arizona cerca di delineare le differenze con Barack Obama puntando sulla propria carriera militare e il servizio reso agli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Durante l'estate del 1967, mentre in America i giovani protestavano e inneggiavano al libero amore (recita lo spot, dall'altra parte del mondo McCain dava prova di un altro tipo d'amore; quello per la patria.
Da notare che la frase che chiude lo spot, “Don’t hope for a better life; vote for one”, e' ripresa da una pubblicita' che fu creata durante una campagna elettorale per il Partito Conservatore inglese di Margareth Tatcher alla fine degli anni settanta.

I figli del Signore




John McCain lancia un nuovo spot televisivo (che sara' trasmesso in Colorado, Nevada e New Mexico) in cui si fa' appello agli elettori ispanici. Nella pubblicita', McCain sottolinea come siano stati tanti i Latinos che hanno partecipato, da soldati, alle avventure/disavventure belliche dell'esercito americano, dal Vietnam (lo spot apre con immagini del monumento ai caduti in Vietnam di Washington DC), all'Afghanistan all Iraq.

La strategia di Obama

Washington D.C. – La campagna di Barack Obama sarà ricordata non solamente perchè il Senatore dell’Illinois è il primo candidato di colore con possibilità concrete di diventare Presidente degli Stati Uniti, ma anche perchè Obama sta inventando un nuovo modo di fare politica elettorale.Internet è senza dubbio il centro nodale delle operazioni di Obama for America, il cui fulcro è il sito web ufficiale www.barackobama.com. Per la prima volta nella storia della politica americana, la rete è così utilizzata non solo per le pubbliche relazioni, una vetrina per i media e per gli elettori connessi, ma anche come lo strumento organizzativo chiave di tutta le attività di campagna elettorale, che normalmente si dividono nelle tre categorie di mobilitazione sul territorio, raccolta fondi e rapporti con la stampa. Obama è riuscito fino ad ora, sfruttando a pieno il potenziale delle nuove tecnologie, a creare un’organizzazione diretta dal centro e, al contempo, diffusa sul territorio.Innanzitutto, il sito web di Obama ha contribuito a costruire, velocemente e ad un costo relativamente limitato, una comunità di un milione di attivisti che la campagna può rapidamente raggiungere e mobilitare via e-mail. Questi cittadini garantiscono anche un collegamento continuo e diretto fra il candidato democratico e il resto dell’America, grazie ai rapporti che costoro intrattengono con le proprie famiglie, colleghi, vicini di casa e, in generale, con le proprie comunità sparse per tutto il paese.La base di appassionati, che ha trasformato Barack Obama da politico a pop-star (basti pensare al successo del video dell’Obama Girl), ha anche permesso al Senatore dell’Illinois di raccogliere cifre record per finanziare la propria corsa alla Casa Bianca. Fin qui, Obama ha ricevuto circa 290 milioni di dollari. Grazie a tale successo, Obama ha potuto rinunciare ai contributi stanziati dal programma di finanziamento pubblico (quest’anno stabiliti in 84,1 milioni di dollari, che rappresentano anche il tetto massimo di spesa consentito ai candidati che ne usufruiscano). Così facendo, il Senatore dell’Illinois si è garantito il diritto di spendere a propria discrezione. L’altro aspetto interessante della raccolta fondi in stile Obama è che, attraverso l’utilizzo del World Wide Web, il Senatore ha costruito una rete capillare di piccoli contributori anziché affidarsi agli assegni delle grandi compagnie. In marzo, la donazione media fatta ad Obama è stata di 96 dollari.In aprile, 1 milione e 475 mila individui hanno effettuato quasi 3 milioni di donazioni per un ammontare medio di 91 dollari ciascuna.Le ultime previsioni indicano che Obama potrebbe arrivare a raccogliere altri 300 milioni di dollari da ora al 4 novembre. Forte di questa convinzione, Obama ha cominciato a creare una organizzazione nazionale di proporzioni mai viste, mettendo assieme un'esercito di collaboratori da inviare per tutti gli Stati Uniti con l'obbiettivo di aprire uffici su tutto il territorio nazionale per coordinare il lavoro dei volontari, del porta a porta e del phone-banking (ovvero delle telefonate agli elettori). È la prima volta che un candidato alla Presidenza decide di investire risorse in tutti i cinquanta stati dell’Unione, anziché puntare a quelli che costituiscono tradizionalmente la propria base e ai pochi swing states che finiscono sempre per decidere il risultato del voto. Janis, una volontaria di Culpeper County, contea tradizionalmente repubblicana della Virginia, tiene un diario entusiasta della propria esperienza di attivista pro-Obama sul blog liberal Daily Kos. Raccontando del primo incontro con il rappresentante di Obama for America sul luogo, Janis scrive; “Io ero convinta che si trattasse di un altro volontario probabilmente con base nella Virginia della Nord venuto nella republicanissima Culpeper County per un avanti-indietro in giornata. E invece indovinate un po’?!? Questo ragazzo è un collaboratore di Obama, con uno stipendio, ed è stato mandato nella mia contea per lavorare a tempo pieno fino alle elezioni!”Naturalmente, questo modello di raccolta fondi e questo rapporto con la base influenza in modo positivo le relazioni con la stampa. La disponibilità di denaro permette ad Obama di organizzare molti eventi e di avere il personale sul campo necessario a garantirne l’efficienza. La popolarità del Senatore, e la rapidità di comunicazione tra la campagna e gli attivisti data da Internet, fa sì che questi eventi abbiano pubblici numerosi ed entusiasti. Di conseguenza, i media non possono che riportare di questo movimento “dal basso”, funzionando quasi da altoparlante per il messaggio che la campagna di Obama vuole fare arrivare al resto del paese. L’ultima idea in questo senso è quella della Open Convention. Per vivacizzare l'atmosfera altrimenti prevedibile della convention di partito che si terrà a Denver a fine agosto, il team di Obama in collaborazione con il Partito Democratico ha deciso che il discorso di accettazione ufficiale della nomination, che i candidati vincitori normalmente tengono nel giorno di chiusura dei lavori di fronte ai delegati ammessi alla convention, verrà invece organizzato, quest'anno, all'INVESCO Field, uno stadio con una capacità di 75.000 spettatori. In questo modo Obama prova a trasformare un momento tradizionale e scontato del processo di nomination americano in un evento mediatico che porti ancora maggior attenzione sulla propria candidatura.David Corn, sul blog che tiene per Congressional Quarterly, si chiede; "Che cosa potrà mai fare John McCain per stare al passo? Noleggiare una nave da guerra per il proprio discorso di accettazione della nomination? Annunciare, prematuramente, il bombardamento dell'Iran?"
Valentina Pasquali

Alfred Landon, Michael Dukakis e Walter Veltroni

Walter Veltroni è sempre stato un appassionato di Stati Uniti quindi dovrebbe sapere che nel 1936 i repubblicani, disastrosamente sconfitti da Franklin Roosevelt quattro anni prima, presentarono come candidato alle presidenziali Alfred Landon, il governatore del Kansas. Landon rappresentava l’ala progressista del partito e condusse una campagna all’insegna del “Sì, ma”, facendo sapere agli elettori che era in gran parte d’accordo sugli obiettivi del New Deal, ma non sui metodi, e sostenendo che i repubblicani avrebbero potuto essere migliori gestori della ricostruzione economica di quanto non fossero i democratici.
Landon ottene un certo successo in novembre: il partito raccolse 16,7 milioni di voti contro i 15,8 di Herbert Hoover nel 1932: quasi un milione di voti in più. Peccato che Roosevelt, lo stesso giorno, ottenesse undici milioni di voti più di Landon, portando il distacco a 24 punti percentuali (60,9% contro 36,6%).
Landon, come i candidati successivi nel 1940 (Wendell Willkie) e nel 1944 (Thomas Dewey) era un’esponente di quella sfortunata generazione di candidati repubblicani che, di fronte alla popolarità e alla completa egemonia intellettuale del New Deal, non potevano trovare di meglio della politica del “Me, too”. Elezione dopo elezione dicevano ai cittadini “anche noi, anche noi” siamo capaci di gestire l’economia, far uscire il paese dalla Depressione, vincere la guerra. Purtroppo, gli americani continuarono a preferire l’originale alla copia per ben 20 anni, fino al 1952, quando la guerra di Corea e la popolarità del generale Eisenhower non fecero tornare alla Casa Bianca un repubblicano.
Il contrappasso dei democratici è stato più breve ma non meno duro per il partito: dopo l’elezione di Ronald Reagan nel 1980, per 12 anni i democratici scelsero dei candidati “Me, too”. Anche loro sarebbero stati capaci di ridurre le tasse, aumentare le spese militari, tagliare i servizi sociali: lo avrebbero fatto però in modo diverso, più compassionevole ed efficace dei repubblicani. Così Walter Mondale nel 1984 e Michael Dukakis nel 1988 cercarono di contrastare la popolarità di Reagan e la completa egemonia intellettuale del conservatorismo dialogando con i repubblicani e proponendo le loro versioni della riduzione delle tasse o del riarmo. Come prevedibile, gli americani continuarono a preferire l’originale alla copia.
Queste fasi storiche di debolezza dei due partiti americani hanno un’origine comune e ben identificata: il discredito in cui a volte cadono le idee di un partito a causa di eventi contingenti, come il crack di Wall Street nel 1929, o la stagflazione degli anni Settanta. Se a questo si aggiunge la popolarità personale del leader avversario, è comprensibile che i partiti di opposizione siano tentati di proporsi come pallida imitazione del partito di governo: una versione “Me, too” di chi gode la fiducia degli elettori.
I casi di Landon, Willkie, Dewey, Mondale e Dukakis dimostrano però che si tratta di scelte perdenti e questo non per motivi effimeri, o tattici, o di personalità: una legge bronzea della politica moderna sembra essere questa: “E’ sbagliato rinunciare a combattere l’egemonia intellettuale dell’avversario, anche quando questa sembra allo zenit”. Non esistono idee, o leader, che non si logorano nel tempo e gli elettori vogliono dall’opposizione A Choice, Not an Echo, titolo di un influente pamphlet di Phillys Schafly, che nel 1960 aveva capito questo principio meglio di quanto non accada oggi a molti politici italiani. La candidatura di Goldwater del 1964 fu la premessa della vittoria di Richard Nixon nel 1968 e del trionfo di Ronald Reagan nel 1980. O, come dice un simpatico politologo italiano prestato alla politica attiva, “Meglio perdere che perdersi”.
Fabrizio Tonello

mercoledì 9 luglio 2008

Dichiarazioni incoerenti di Obama sull'Irak




Aumentano sul Web gli attacchi repubblicani a Obama. In questo video vengono messe alla berlina alcune sue contrastanti dichiarazioni sulle strategie da adottare in Irak.

lunedì 7 luglio 2008

Obama onnipresente




Durante la campagna per le primarie, Barack Obama ha spesso esibito un sigillo presidenziale modificato, attirando le critiche di molti puristi. La campagna di McCain, prendendo spunto da questo episodio, ha realizzato un video dove ritrae Obama come un patito della propria immagine, disposto a sostituire tradizionali simboli d'America con il proprio volto.

venerdì 4 luglio 2008

McCain deraglia a destra

Washington D.C. – Minacciato dai sondaggi che lo danno in netto svantaggio nella corsa per la Casa Bianca contro Barack Obama, John McCain sta mostrando la volontà di affidarsi sempre più alle gerarchie tradizionali del partito repubblicano e a quei professionisti che hanno garantito il successo di George W. Bush, così contraddicendo l’immagine di politico ribelle e indipendente conquistata nei 26 anni al Congresso.Mercoledì McCain ha ufficializzato la promozione di Steve Schmidt, veterano della campagna per la rielezione di Bush del 2004 e collaboratore di Karl Rove, ad un ruolo centrale nell’organizzazione delle operazioni elettorali del Senatore dell’Arizona. Si tratta solo dell’ultima tra una serie di decisioni simili prese di recente dalla squadra di McCain. Ad esempio, Nicolle Wallace, che fu la responsabile per la comunicazione di Bush nel 2004, è stata assunta da McCain come consulente, così come Greg Jenkins, che lavora alla Casa Bianca nell’organizazzione di eventi, è stato chiamato a prendere parte alla campagna di McCain la settimana scorsa.Anche dal punto di vista del finanziamento della campagna elettorale, opposto ad un avversario che ha mostrato grande facilità nella raccolta di fondi, John McCain sta riorganizzando la propria strategia in favore di un coordinamento più stretto con i vertici di partito e con le molte organizzazioni conservatrici che solitamente si battono al fianco dei candidati del partito dell’elefante. Il Republican National Committee ha annunciato la creazione di un comitato interno incaricato di gestire l’erogazione di fondi per la produzione e distribuzione di pubblicità televisive in sostegno di McCain. Contemporaneamente la National Rifle Association (NRA), la potente lobby delle armi da fuoco, ha reso pubblica la decisione di destinare buona parte dei 40 milioni di dollari di budget per le proprie pubbliche relazioni ad una campagna pubblicitaria nazionale che attacchi Barack Obama per le sue posizioni sul diritto dei cittadini americani di detenere armi da fuoco. Sono, questi, sviluppi molto recenti. Infatti, in un articolo del New York Times del 21 giugno, Michael Luo sottolineava che fino ad allora pochissimi gruppi indipendenti si erano mossi in sostegno alla candidatura di McCain.John McCain intanto sta ricalibrando il proprio messaggio politico per renderlo più digeribile all’establishment repubblicano. Parlando all’industria petrolifera riunita a Houston il 18 giugno, il Senatore dell’Arizona ha ritrattato una posizione a lungo difesa e si è dichiarato d’accordo con l’abolizione del divieto federale sulla costruzione di nuovi pozzi di petrolio lungo le coste statunitensi. Negli ultimi mesi McCain ha anche rivisto le proprie proposte fiscali. Da fiero oppositore dei tagli alle tasse approvati durante l’Amministrazione Bush, McCain ne è diventato sostenitore convinto, e, secondo alcune analisi, il programma fiscale del Senatore dell’Arizona è addirittura più radicale di quello di Bush. Anche in tema d’immigrazione, su cui il Senatore era sempre apparso moderato, McCain sta facendo marcia indietro ed è oggi difensore dell’idea di un muro di frontiera tra il Texas e il Messico. Nel frattempo, McCain ha irrigidito la propria opinione sull’aborto e ha criticato severamente la decisione della Corte Suprema di estendere il diritto alla difesa ai prigionieri stranieri detenuti a Guantanamo. Rimane da vedere quanto di questo spostamento a destra sia legato a strategie elettorali e dunque potrà venire ritrattato da McCain nel caso vincesse le elezioni di novembre, e quanto invece queste siano revisioni sostanziali delle posizioni politiche del Senatore dell’Arizona. In questo caso, le paure di molti democratici che McCain si trasformerà semplicemente in un secondo Bush, come scherzano i blog politici liberal che lo chiamano John McBush, potrebbero realizzarsi. Al contempo, è vero che alcune politiche di McCain sono comunque più moderate di quelle dell’Amministrazione attuale, in particolare in termini di ambiente, immigrazione e riforma del sistema di finanziamento pubblico delle campagne elettorali. L’ex Deputato repubblicano Mickey Edwards, oggi professore a Princeton University e critico feroce di George Bush e della politica intrapresa dai neo-con americani, mi ha detto in un’intervista qualche settimana fa’; “Voglio sperare che il vero John McCain sia quello che partecipò alle primarie repubblicane nel 2000, quello che critica Bush sulla politica estera e l’ambiente. Purtroppo di tanto in tanto sembra preoccuparsi troppo dell’estrema destra e dice cose che mi danno fastidio, cose che direbbe solo Bush.” Intanto, segno che la destra americana si sta ricompattando, anche il presentatore radiofonico Rush Limbaugh, famoso per le posizioni di destra estrema e per gli attacchi a John McCain lanciati durante le primarie, ha dichiarato in una lunga intervista concessa al New York Times Magazine che, per quanto non sia il candidato ideale, sosterrà McCain contro i democratici. “È come il football,” ha detto Limbaugh. “Se la tua squadra perde la semifinale, in finale fai il tifo per chi odi di meno. Ecco quello è John McCain.”
Valentina Pasquali

Intercettazioni: Bush con Di Pietro, Berlusconi con i bloggers duri e puri?

La newsletter della settimana scorsa, che riferiva della rottura fra molti attivisti del partito democratico e Barack Obama sul tema delle intercettazioni telefoniche ha fatto arrivare sul mio schermo un numero di email senza precedenti, tutte più o meno di questo tipo: “Com’è che negli Stati Uniti la sinistra del partito democratico è ferocemente contraria alle intercettazioni, al punto da minacciare la rottura con il suo candidato preferito, candidato che sembra alla vigilia di una vittoria storica in novembre? C’è una spiegazione per il fatto che Di Pietro, in questa materia, è sulle posizioni dei repubblicani americani e invece Berlusconi dice le stesse cose che si dicono sui blog più radicali e militanti?”
La domanda è perfettamente legittima ma i paragoni sono ingannevoli. E’ vero, la sinistra americana è totalmente contraria alle intercettazioni telefoniche che violano il IV emendamento della Costituzione americana che garantisce la segretezza della corrispondenza e il divieto di perquisizioni arbitrarie, tanto più con un’amministrazione Bush che calpesta il Bill of Rights ogni giorno (su YouTube, il video del generale Michael Hayden, direttore dell’onnipotente National Security Agency che fallisce il test di educazione civica).Ma in quale contesto politico-culturale questo avviene? Presidenti, ministri, giudici della Corte Suprema non sono affatto al di sopra della legge, né godono di alcuna particolare immunità. Come si è detto nella newsletter del 20 giugno, Bill Clinton fu oggetto per anni di un’indagine condotta da un supermagistrato (Independent Counsel) e fu processato dal Senato con l’obiettivo di rimuoverlo dalla carica attraverso la procedura dell’impeachment. Il tentativo fallì soltanto perché una maggioranza relativa di senatori riconobbe che questo istituto è utilizzabile solo in caso di violazione dei doveri della carica, non per misfatti privati, per i quali Clinton fu indagato dalle locali “toghe rosse” e costretto a patteggiare per evitare una condanna dopo la fine del suo mandato.Senatori e deputati vengono non solo intercettati ma tranquillamente arrestati senza che un normale poliziotto debba chiedere l’autorizzazione a nessuno. Il senatore repubblicano Larry Craig, nel 2007, fu arrestato all’aereoporto di Minneapolis per atti osceni e rilasciato solo dopo un’ammissione di colpevolezza. Quando la cosa si è risaputa, il suo partito non ha chiesto il trasferimento in Alaska dell’incauto agente, né varato un decreto legge per istituire l’immunità parlamentare: ha invece costretto alle dimissioni l’incauto senatore. Le intercettazioni a danno del governatore di New York Eliot Spitzer hanno condotto alle sue immediate dimissioni e alla fine della sua carriera politica.Per riassumere: quando gli standard etici della vita pubblica sono rigorosi e chi li trasgredisce viene allontanato dalla politica, non c’è bisogno di intercettazioni a migliaia. Difendere i cittadini dalle invasioni del “grande orecchio” governativo è quindi una posizione coerentemente liberale, sulla quale i bloggers non vogliono cedimenti.E in Italia? La nostra situazione è precisamente l’opposto: il livello etico della vita pubblica è rivelato dalle telefonate Berlusconi-Saccà, che nella nuova puntata annunciata per venerdì 4 luglio si allargheranno ad altri nani e ballerine in teneri colloqui con il grande capo. Telefonate che dimostrano non soltanto il livello morale dei protagonisti ma soprattutto il concreto tentativo di rovesciare il risultato elettorale del 2006 distribuendo favori, in denaro o in natura, ai senatori del centrosinistra che si fossero prestati al mercimonio. In altre parole, abbiamo sotto gli occhi ben più di un traffico di soubrette: si tratta di un Watergate all’italiana, con il tentativo di comprare voti in parlamento per far cadere il governo Prodi.In questo contesto di corruzione e abuso di potere, con i pretoriani del grande capo che strillano come aquile per coprire le malefatte, la pubblicazione delle intercettazioni diventa l’unico strumento di controllo dell’opinione pubblica su quanto avviene nei palazzi del governo. Tanto più in una situazione dove una maggioranza bulgara vota ogni giorno per mettersi sotto i piedi un pezzo di Costituzione. La cultura poliziesca del controllo a 360° non può piacere a nessun uomo di sinistra. Ancora meno, tuttavia, ci può piacere il trionfo dell’illegalità, del voto di scambio, delle leggi ad personam. Negli Stati Uniti, le amichette dei politici di solito cambiano città, e magari anche nome: è solo nelle repubbliche delle banane che diventano ministri.
Fabrizio Tonello

mercoledì 2 luglio 2008

Wesley Clark attacca McCain




Il generale Wesley Clark è uno dei possibili candidati democratici alla vicepresidenza. Il suo indiscutibile background militare (e la pelle bianca), ne farebbero un ottimo contrappeso alle caratteristiche "forti" di McCain. Il solo lato negativo: essere di Chicago come Obama, perchè sarebbe preferibile un candidato del sud. In questo video il generale in pensione attacca McCain su argomenti di sicurezza nazionale. E proprio l'attivismo mediatico degli ultimi giorni fa ben sperare i suoi sostenitori in vista della scelta su chi affiancherà Obama nella corsa verso la Casa Bianca.

martedì 1 luglio 2008

Obama "Dottor No"




In questo video, prodotto dalla campagna di McCain, Barack Obama appare come un "Dottor No" su varie questioni di politica energetica.