venerdì 28 marzo 2008

La risposta dei candidati alla crisi

Washington DC – Il più recente indicatore del senso di crisi economica che sta infettando gli Stati Uniti è stato pubblicato da Conference Board, una società di ricerca con sede a New York. Secondo l’ultimo rilevamento effettuato, la fiducia dei consumatori è crollata dell’11,9% ed è oggi valutata a 64,5 punti, mentre solo a febbraio era 76,4. Anche il barometro delle aspettative sul futuro è in calo, 47,9 contro 58,0 del mese scorso. È questo il valore più basso registrato dal 1973, anno della crisi petrolifera mondiale.

La settimana scorsa avevo sottolineato come, nonostante il dibattito sulla recessione continuasse ad ampliarsi al Congresso, sui media e a tutti i livelli della società americana, i tre candidati in corsa per la Casa Biana mostrassero imbarazzo nell’affrontare questo tema. Negli ultimi giorni, pressati da una situazione in continuo peggioramento e dal desiderio del pubblico di conoscere il pensiero del futuro Presidente, Barack Obama, Hillary Clinton e John McCain hanno tutti finalmente accettato di parlare di economia.

Barack Obama è intervenuto per primo la settimana scorsa, con un discorso fatto in West Virginia, stato che terrà le primarie il prossimo 13 maggio. Il Senatore dell’Illinois ha puntato a creare un legame diretto tra i costi che la guerra in Iraq sta imponendo sui cittadini americani e la recessione. “Quando spendete oltre 50 dollari per fare il pieno della vostra automobile perchè il prezzo della benzina è quattro volte più alto di quanto fosse prima dell’Iraq, state pagando un prezzo per questa guerra”, ha detto Obama. In realtà, al di là di questa associazione tra Iraq e crisi economica, il Senatore dell’Illinois non ha fornito dettagli del proprio ipotetico piano d’intervento più sostanziali di quelli da lui descritti fin’ora o di quelli riportati sul suo sito web a proposito della riforma della sanità pubblica e di sgravi fiscali per le famiglie a basso reddito.

Giovedì, invece, Barack Obama è tornato sul tema più aggressivamente, parlando alla Cooper Union a New York. “Non credo che il governo debba bloccare l’innovazione, o cercare di tornare indietro nel tempo ad un era di regolamentazioni eccessive. Però credo che debba giocare un ruolo nell’assicurare che la nostra prosperità comune prosegua nella sua espansione”, ha detto il Senatore dell’Illinois. Obama ha ripetuto il proprio impegno per un’espansione di 10 miliardi di dollari di un programma esistente di finanziamento dei mutui per la prima casa che offre tassi d’interesse al di sotto del valore di mercato, e per la creazione di un fondo per altri 10 miliardi di dollari per cercare di prevenire una parte delle insolvenze. Obama ha concluso elencando i sei punti del proprio programma economico; innanzitutto il governo deve poter esercitare un controllo maggiore su quelle istituzioni finanziarie che decidono di prendere in prestito fondi della Federal Reserve. È inoltre necessaria una riforma generale del funzionamento della finanza. Obama ha detto anche di voler snellire l’apparato burocratico incaricato di monitorare i mercati in modo da renderlo più efficiente, e di voler implementare riforme che prendano in considerazione i cambiamenti avvenuti in questo settore e che dunque siano applicabili a tutti gli attori coinvolti nei prestiti e nei mutui, vecchi o nuovi che siano. Infine Obama ha sottolineato l’importanza di combattere la speculazione irresponsabile e di fare una politica volta ad anticipare i rischi sistemici prima che si abbattano sui mercati.

Hillary Clinton ha parlato di economia martedì, in un discorso tenuto a University of Pennsylvania a Philadelphia. La Senatrice dello Stato di New York, anzichè concentrarsi su quello che farebbe lei dal prossimo gennaio dovesse vincere le elezioni di novembre, ha elencato le misure che il Congresso e l’Amministrazione Bush dovrebbero mettere in pratica ora, per evitare che la crisi continui ad allagargarsi. La ex-first lady ha chiesto alla Camera e al Senato di sottoscrivere il passaggio di 30 miliardi di dollari dalle casse federali a quelle statali per aiutare le comunità più afflitte a mitigare il numero di insolvenze sui mutui subprime. Clinton ha anche proposto l’idea di nominare Alan Greenspan e Paul A. Volcker, due ex-Presidenti della Federal Reserve, assieme all’ex-Ministro del Tesoro Robert E. Rubin, alla guida di un “gruppo di studio d’emergenza di alto livello”, che sia incaricato di analizzare le cause della crisi e proponga una strategia di ristrutturazione e rifinanziamento dei mutui a rischio. Il discorso della Senatrice di New York, scrivono Amy Chozick e Nick Timiraos del Wall Street Journal, “la espone alle critiche di chi pensa che Clinton stia delineando un piano per salvare i debitori irresponsabili finanziato con i contributi fiscali del resto degli americani”.

Così come Barack Obama, anche Clinton è tornata sulla propria strategia economica giovedì, parlando in North Carolina ad un’ora sola di distanza dal Senatore dell’Illinois che invece si trovava a New York. Per l’occasione l’ex-first lady ha presentato al pubblico di Raleigh un piano quinquennale da 12,5 miliardi di dollari per finanziare programmi di aggiornamento della forza lavoro. La Senatrice ha anche detto di voler garantire mutui per studenti universitari a tassi d’interesse minori di quelli attuali. Spostandosi dalle problematiche urgenti poste dalla crisi, Clinton ha voluto enfatizzare la propria visione complessiva dell’economia americana e la propria volontà di portare riforme volte ad avvantaggiare la classe media e i lavoratori.

John McCain, nonostante continui a fare della politica estera il punto forte della propria candidatura, ha finalmente accettato di trattare temi economici parlando marterdì ad un convegno di piccoli industriali ispanici tenutosi a Santa Ana, nei pressi di Los Angeles. Secondo il New York Times, il candidato repubblicano alla Presidenza non ha offerto alcuna proposta nuova per mitigare le difficoltà economiche che hanno travolto il paese, ma ha semplicemente indicato la disponibilità a prendere in considerazione un intervento del governo che sia temporaneo. “Sono sempre stato convinto del principio che non è responsabilità del governo di intervenire per salvare, e di conseguenza premiare, quegli attori che agiscono in maniera irresponsabile, che si tratti di grandi banche o di piccoli debitori”, ha dichiarato il Senatore dell’Arizona. In sostanza, John McCain si è concentrato su ciò che il governo non dovrebbe fare più che sulle misure che andrebbero prese. “La politica economica dovrebbe seguire un percorso di responsabilità finanziaria, obbligando coloro che firmano un mutuo a versare un anticipo adeguato sul valore dell’immobile che intendono acquistare. Di conseguenza sono contrario all’idea di diminuire il valore percentuale di tale anticipo”.

In questo senso, John McCain parrebbe essere rimasto l’ultimo negli Stati Uniti a difendere l’idea di un ruolo limitato del governo negli affari economici della nazione. Travolto dalla recessione, il paese pare attraversare un momento di riflessione politica e filosofica. Persino il Wall Street Journal, il bastione del capitalismo americano, ha cominciato a pubblicare una serie di articoli che trattano di problemi legati all'assenza di regolamentazioni serie dei mercati. In un pezzo di Elizabeth Williamson uscito lunedì, ad esempio, si parla di come i venti politici a Washington stiano girando, dopo quasi trent'anni, dall'approccio estremamente liberale lanciato da Ronald Reagan agli inizi degli anni ottanta ad una politica che vede un ruolo assai più centrale per il governo nel controllo degli scambi di mercato. E questo cambiamento nell'atmosfera politica della capitale americana sembrerebbe essere bipartisan, condiviso sia dai democratici che dai repubblicani. L’ultimo esempio di questa tendenza, che pare influenzare l’attuale Amministrazione, è il discorso fatto giovedì alla Camera di Commercio statunitense dal Ministro del Tesoro Henry Paulson, che ha dichiarato necessario che la Federal Reserve eserciti maggior controllo sulle banche di investimento che le si rivolgono per prestiti, imponendo mggiore trasparenza sulle transazioni condotte da tali enti.
Considerato che molti osservatori sono convinti che la crisi finanziaria sia soltanto agli inizi, visto che la borsa di New York sta scambiando a livelli di prezzo equivalenti al 1999 (aggiustati all’inflazione) e che l’indice di 500 titoli di Standard & Poor rappresenta, secondo i dati della società di ricerca e analisi economica Morningstar, l’investimento peggiore tra nove registrati sull’arco di tempo dei nove anni (avendo prodotto profitti minori dei mercati delle merci, degli immobiliari, dell’oro, dei titoli stranieri e persino dei buoni del tesoro), e dato infine che, a meno di interventi radicali, i fondi per il finanziamento dei programmi pensionistici e assistenza sanitaria per i meno abbienti si esauriranno rispettivamente nel 2041 e nel 2019, gli americani hanno davanti a sè una lunga strada per arrivare a riassestare le finanze nazionali. Le risposte dei candidati alla Presidenza paiono insufficienti, e sembrano rimanere indietro rispetto alle richieste di un intervento governativo più sostanziale che provengono in questi giorni da ogni angolo del paese. Contemporaneamente, spinti dalla competizione dell’uno con l’altro, Clinton, Obama in particolare, ma anche McCain, stanno cominciando a fornire risposte sempre più concrete al pubblico americano.

Valentina Pasquali