giovedì 20 marzo 2008

I fallimenti della politica

(da CFP NEWS Anno 4 Numero 120 – 21 marzo 2008)

di Fabrizio Tonello

La crisi finanziaria negli Stati Uniti, di cui abbiamo visto solo l’inizio, non è un fallimento della più grande economia mondiale, è piuttosto un fallimento della politica, un’evasione dalle responsabilità che giustifica ampiamente la profonda sfiducia dei cittadini americani nei loro rappresentanti: solo il 13% è convinto che il Congresso stia facendo un buon lavoro. E il fallimento del Congresso a maggioranza democratica, assieme a quello dell’amministrazione Bush, sta tutto nella fede quasi religiosa per la capacità dei mercati di autoregolarsi. Un vecchio detto inglese afferma che “Dio protegge i bambini, i pazzi e gli Stati Uniti d’America”: come talvolta gli accade, Dio è stato un po’ distratto dal 2000 ad oggi. Certo, i mercati, nel lungo periodo si autoregolano, se però nel mezzo qualche decina di milioni di persone soffrono e muoiono questo può essere indifferente solo a chi è accecato dall’ideologia.
A fare il riassunto più conciso ed efficace delle origini della crisi è stato lo Wall Street Journal, la cui fede nei mercati è iscritta nella testata del giornale, ma che ha ancora cronisti capaci di scavare nei dettagli delle scelte che hanno condotto alla situazione attuale. Prima scelta dell’amministrazione Bush: fare degli Stati Uniti una “nazione di proprietari” di case. Nulla da dire, salvo il fatto che le famiglie americane sono le più indebitate del mondo (che significa “società dei consumi”?). Se il signor Smith ha dieci carte di credito e ogni mese paga il conto della prima aumentando il debito sulla seconda, e così via, le banche guardano alla sua storia creditizia personale e gli dicono “ripassi fra qualche anno”.
O meglio, gli dicevano così. A partire dal 2001, la Casa Bianca incoraggia le banche e le agenzie semigovernative ad allargare i cordoni della borsa, senza che il Congresso a maggioranza repubblicana trovi nulla da obiettare. Si diffondono così i mutui subprime, un termine che designa i prestiti a persone che sono “sotto” il prime, cioè le condizioni normali richieste per concedere il credito. In pratica: se il solito signor Smith ha uno stipendio di 1.000 dollari al mese e vuole comprarsi una casa con un mutuo che gli costerebbe 900, la banca invece di chiedergli poi come campa, ragiona così: “Se non può pagare le rate, affari suoi: noi ci riprendiamo la casa”.
E’ quello che adesso viene definito predatory lending, cioè l’offerta di prestiti (spesso a persone anziane, in difficoltà, di educazione modesta) a condizioni apparentemente vantaggiose, con in mente proprio l’obiettivo di impadronirsi di beni immobiliari di valore molto superiore. Per es., molte finanziarie offrivano prestiti al consumo o mutui allo “0%” senza rivelare chiaramente che questo era per i primi sei mesi, poi il tasso sarebbe passato al 10% o magari al 20%. La bolla speculativa nell’immobiliare, con l’aumento rapido e continuo del valore delle case, offriva enorme spazio a speculazioni di questo tipo (perché, a loro volta, i debitori pensavano di poter vendere la casa per un prezzo superiore al valore del debito).
Il bel giocattolo si è sviluppato nella benevola indifferenza delle autorità bancarie, del ministero del Tesoro e del Congresso, che hanno permesso una rapida espansione di quella che l’economista Paul Krugman ha definito le “aree grige della finanza”, attività non regolamentate in cui si era specializzata proprio la Bear Stearns, una banca d’investimento il cui valore di Borsa, grazie a queste pratiche, aveva toccato quota 20 miliardi di dollari. Un grafico dello Wall Street Journal dice tutto: se nel 2002 i mutui anomali erano appena il 6,9% del totale, nel 2004 erano diventati il 18,2% e nel 2006 il 20,1%.
Poi il giocattolo si è rotto: apparentemente nessuno aveva pensato che la tragedia di milioni di americani che stavano perdendo la casa avrebbe provocato un ovvio contraccolpo: i prezzi delle case non potevano che scendere perché centinaia di migliaia di immobili pignorati facevano crescere lo stock in vendita. Molte di queste case erano poi in cattive condizioni, o in quartieri a rischio, dove nessuno voleva comprarle, deprimendo ulteriormente il mercato.
Questo sarebbe stato grave ma non ancora catastrofico: il contagio all’intero settore finanziario è avvenuto a causa di un’altro fallimento della regolazione politica, quello relativo alla creazione di obbligazioni basate proprio sui mutui. I due enti privati (ma di origine pubblica) soprannominati Freddie Mac e Freddie Mae, nati per fare proprio questo, sono diventati più audaci nel gestire questi prodotti finanziari e sono stati affiancati da migliaia di creativi operatori che hanno disperso il rischio mutui tra milioni di acquirenti delle obbligazioni, le cui formule erano spesso incomprensibili (e a nessuno importava granché capirle, fino a che i mercati salivano). Così, non solo le banche americane ma anche il Crédit Suisse e altre banche europee, si sono trovati in portafoglio obbligazioni “garantite” magari da case distrutte dall’uragano Katrina del 2005. Se oggi, nonostante gli interventi della Federal Reserve, il sistema finanziario americano resta gravemente ammalato è perché le autorità politiche, e perfino i tre candidati alla presidenza, sono mute, incapaci di offrire soluzioni alla crisi affrontando le tendenze autodistruttive dei mercati non regolamentati in un’ottica di lungo periodo. La Bear Stearns è stata ceduta a un prezzo puramente simbolico e, senza un’azione incisiva che ripristini la fiducia degli operatori, nessuno dubita che altre banche crolleranno.