venerdì 1 febbraio 2008

Primarie americane: regole ed eccezioni

(da: CFP NEWS - Anno 4 Numero 113 – 1 febbraio 2008)
di Valentina Pasquali, Washington DC

Un’elezione dall’esito incerto come quella che si profila negli Stati Uniti può essere decisa dai dettagli tecnici del sistema di voto e dalla capacità dei candidati di trarne vantaggio. Le primarie sono avviate verso una doppia sfida Obama-Clinton e McCain-Romney che rischia di protrarsi fino all’estate, e nel frattempo i politici, gli osservatori ed il pubblico americano cercano di capire i meccanismi talvolta misteriosi che regolano la nomination per la corsa alla Casa Bianca.

I caucus del Nevada del 19 gennaio sono un buon esempio: nonostante Clinton avesse conquistato il 51% delle preferenze contro il 45% di Obama, alla fine della giornata il senatore dell’Illinois ha rilasciato dichiarazioni dai toni trionfanti: “Abbiamo recuperato 25 punti di svantaggio, fino ad arrivare oggi a conquistare un numero di delegati per la convention nazionale maggiore di quello di Hillary Clinton”. La campagna elettorale della Senatrice di New York ha immediatamente risposto; “Hillary Clinton ha vinto oggi i caucus in Nevada aggiudicandosi la maggioranza dei delegati in palio. La campagna di Obama si sbaglia. I delegati per la convention nazionale non saranno selezionati fino al 19 aprile”. Nelle stesse ore Jill Derby, segretario del Partito Democratico del Nevada, si affannava a spiegare ai media; “I calcoli che stanno circolando a proposito del numero dei delegati che verranno mandati alla convention nazionale sono basati sul presupposto che le preferenze dei delegati locali rimangano uguali fino ad aprile. Bisogna invece attendere che si tengano le convention di contea e di stato dove si sceglieranno i delegati che rappresenteranno il Nevada alla convention nazionale.”

Il sistema in vigore, antiquato e reso complesso dal federalismo che crea regole diverse di stato in stato, non piace a nessuno. Markos Moulistas non risparmia le critiche sul suo blog Daily Kos; “E’ una stronzata, un sistema che non ha senso. E non vedo l’ora, una volta che queste elezioni saranno finite, che s’intraprenda uno sforzo serio per riformare le primarie.” Fatto sta che per il momento i candidati 2008 alla presidenza degli Stati Uniti veranno scelti secondo le regole vigenti e vale la pena provare a capire come funzionino le cose.

Ufficialmente i due sfidanti che si contendono la Casa Bianca nelle elezioni generali di novembre sono nominati nelle convention nazionali dei rispettivi partiti, che si tengono tradizionalmente tra fine agosto e inizio settembre. Quest’anno la convention democratica avrà luogo tra il 25 e il 28 agosto a Denver in Colorado mentre quella repubblicana tra il primo e il quattro settembre a Minneapolis in Minnesota.

Alle convention partecipano i delegati nazionali dei due partiti, che determinano con il loro voto il candidato del partito per le elezioni generali. I delegati democratici che andranno a Denver sono 4.049. Il che significa che Clinton o Obama per vincere dovranno ottenere 2.025 voti. Nel caso dei repubblicani il numero dei delegati è inferiore; su un totale di 2.380 delegati, la maggioranza è fissata a quota 1.191. Per capirci, quando si parla di delegati s’intende un gruppo variegato d’individui politicamente attivi eletti, nominati, o membri di diritto di questa assemblea.

La maggior parte dei delegati che partecipano alle convention nazionali è selezionata in primavera durante le convention di contea e quelle di stato. Per poter accedere alle prime, un delegato deve ottenere dei voti nei caucus o nelle primarie. In sostanza, quando un iscritto di partito si reca al proprio seggio a votare o alle riunioni di partito a discutere, non sta direttamente scegliendo il candidato alla presidenza, ma sta invece dando mandato ad un numero di delegati di rappresentarlo nel seguito del processo elettorale.

Di norma, i delegati sono tenuti, di selezione in selezione, a rispettare la volontà popolare e a votare per la nomination secondo il desiderio espresso dai partecipanti alle primarie. In realtà in alcuni casi i delegati hanno diritto a modificare la propria decisione in qualsiasi momento. Molly Ball scrive sul quotidiano online Las Vegas Review Journal: “La campagna di Obama ha fatto i calcoli giusti ma fondati sul presupposto ipotetico che le convention di contea e di stato si tengano tutte in questo momento e che i delegati di seggio sostengano sempre lo stesso candidato, cosa che non sono tenuti a fare.”

Inoltre nella lunga corsa che dalle primarie porta alle convention alcuni candidati decidono di abbandonare la gara (John Edwards e Rudy Giuliani hanno preso tale decisione proprio questa settimana). Nel caso che questi abbiano comunque accumulato qualche delegato, una volta ritiratisi li lasciano senza un mandato preciso e liberi di votare per un altro candidato.
Infine esiste un numero di delegati che per definizione non è tenuto a rappresentare alcun mandato popolare diretto. Questi si chiamano unpledged delegates (dall’inglese; delegati non-impegnati), o super-delegati nel gergo usato dal partito democratico. Nel caso dei delegati si tratta di dirigenti di partito, amministratori a vari livelli. I repubblicani hanno una selezione più ampia che include anche politici eletti ai parlamenti nazionale e statali. Sono 796 i super-delegati che parteciperanno alla convention di Denver e 463 quelli che andranno a Minneapolis.

A complicare questa vicenda già di per se astrusa, si e’ aggiunta quest’anno una controversia nata all’interno di entrambi i partiti a proposito delle date di alcune primarie. Il Michigan e la Florida hanno deciso, contro il parere delle direzioni nazionali dei partiti, di anticipare le proprie elezioni nel tentativo di esercitare maggiore influenza sulla scelta della nomination. Le segreterie nazionali si sono però vendicate. Il partito democratico ha negato la partecipazione alla convention nazionale a tutti i delegati del Michigan e della Florida. I repubblicani ne faranno andare una metà e lasceranno a casa l’altra metà.

Questo non toglie che le primarie si siano tenute ugualmente sia in Michigan che in Florida, con una partecipazione significativa. E i delegati dei due stati proveranno comunque ad andare a Denver e a Minneapolis. Il sito web Electoral Vote, che segue le elezioni con un occhio per i dettagli più tecnici spiega: “quando arriverà il momento delle convention, tutti i delegati teoricamente privati del proprio voto si presenteranno e chiederanno di essere accettati. Se le nomination a quel punto saranno state decise, la cosa finirà lì. Se invece la corsa è ancora aperta, si aprirà probabilmente una lotta intestina per stabilire cosa fare di questi delegati”. Hillary Clinton (nonostante i candidati democratici abbiano deciso di non fare campagna elettorale) ha vinto sia in Michigan che in Florida. Non a caso, la Senatrice di New York ha cominciato a premere per restituire ai delegati degli stati in questione il loro posto alla convention d’agosto. Howard Wolfson, il portavoce di Clinton, ha dichiarato; “Possiamo davvero immaginare una convention nazionale con 48 delegazioni e non 50?” Per le stesse ragioni ma opposti interessi, Obama cercherà di difendere la decisione presa dalla segreteria nazionale. In casa repubblicana la situazione è diversa perché Romney ha vinto il Michigan e McCain ha conquistato martedì il voto della Florida. E’ probabile quindi che i due trovino un accordo per far andare tutti a Minneapolis.

Questo intricato sistema elettorale ha delle conseguenze rilevanti sull’organizzazione delle campagne elettorali. Le strategie per gli sfidanti dei due partiti sono diverse, perché sono diverse le regole d’attribuzione dei delegati. I democratici seguono un sistema proporzionale, i repubblicani quello “chi vince prende tutto”. Nei distretti in cui sono in palio un numero pari di delegati, se Obama e Clinton ottengono percentuali di voto non troppo diverse fra loro porteranno a casa lo stesso numero di delegati. Per Hillary Clinton e Barack Obama questo significa che debbono “investire le proprie risorse in quei distretti che assegnano un numero dispari di delegati e che quindi offrano l’opportunità di vincerne almeno uno di più”, scrive Adam Nagourney sul New York Times.

Il partito repubblicano ha adottato invece un sistema maggioritario in cui il vincitore conquista tutti i delegati di un certo stato. Dunque è meglio concentrare gli sforzi su quegli stati che assegnano il numero maggiore di delegati, che normalmente sono quelli più popolosi. Ma non sempre questo è vero. Esiste una regola che attribuisce più delegati a quegli stati che tradizionalmente votano repubblicano alle elezioni generali. Ad esempio il Missouri, con una popolazione minore di quella del New Jersey, ha un numero di delegati superiore perchè votò repubblicano nelle presidenziali del 2004.

Grazie a tale differenza nelle regole seguite dai due partiti, i candidati repubblicani accumulano delegati più velocemente e John McCain potrebbe arrivare ad una vittoria già il 5 febbraio. Obama e Clinton rischiano invece di disputarsi delegato per delegato, fino alla convention di Denver.

Le regole e le eccezioni non finiscono di certo qui. Insomma, benvenuti negli Stati Uniti d’America.