venerdì 15 febbraio 2008

Giovani e politica

(da: CFP NEWS - Anno 4 Numero 115 – 15 febbraio 2008)

di Fabrizio Tonello

Il ’68 diede il diritto di voto ai giovani americani che compivano 18 anni e le elezioni presidenziali del 1972 furono le prime in cui essi poterono esercitare questo diritto. Quell’anno votò il 52% dei cittadini fra 18 e 24 anni. Nel 2000, quel diritto di voto così prezioso e faticosamente conquistato fu esercitato solo dal 36% dei giovani, poco più di un terzo, molto meno della media dell’elettorato e in particolare del voto degli ultrasessantenni, due terzi dei quali si preoccupavano di andare a infilare la loro scheda nell’urna.
Da allora, la partecipazione giovanile –stimolata dalle politiche bellicose dell’amministrazione Bush- ha ricominciato ad aumentare e nel 2004 votò il 46,7% dei giovani, ben dieci punti percentuali in più (http://www.census.gov/prod/2006pubs/p20-556.pdf).
Quest’anno, dicono gli esperti, potrebbero andare a votare più del 50% degli aventi diritto fra i 18 e i 24 anni, uguagliando o superando il record del 1972.
Non si tratta di una discssione puramente accademica: il “fenomeno Obama”, cioè le migliaia di volontari che hanno contribuito ai successi della sua campagna elettorale nelle primarie, si regge soprattutto sui giovani e viene interpretato da molti giornali come una promessa di vittoria sicura per i democratici anche in novembre. Le cose sono però più complicate di quanto sembrino.
Se guardiamo alla partecipazione dei giovani in queste primarie di cui i mass media hanno dato un’immagine così “oceanica” troviamo in realtà delle cifre piuttosto deludenti. Per esempio, in Alabama ha votato il 19% dei giovani fino a 29 anni, contro il 36% di chi aveva più di 30 anni. In Arizona ha votato appena il 7%, contro il 25% degli altri elettori, in California il 17% contro il 32% degli adulti, a New York il 12% rispetto al 20% Solo in New Hampshire troviamo una partecipazione significativa dei giovani, il 43%, abbastanza vicina ma comunque inferiore al 55% del resto del corpo elettorale (e, fra l’altro, in New Hampshire ha vinto Hillary Clinton e non Obama).
Le cifre raccolte dal centro studi CIRCLE (si veda lo studio completo qui: (http://www.civicyouth.org/PopUps/PR_08_Super%20Tuesday.pdf) vanno tutte nella medesima direzione: quest’anno i giovani sono più mobilitati del solito ma restano comunque una componente minoritaria delle’elettorato: fra il 7 e il 14% della Virginia martedì scorso. Molto se la competizione avviene in ristrette assemblee di simpatizzanti (i caucus) con qualche migliaio di persone, poco se si deve vincere un’elezione a cui parteciperanno quasi 150 milioni di americani.
Un altro studio, questo del Pew Research Center (http://pewresearch.org/pubs/730/young-voters) dà cifre leggermente superiori: in Georgia, New Hampshire e Iowa i giovani sarebbero stati fra il 18 eil 22% di chi ha votato. Anche in questo caso, si tratta di cifre importanti per i democratici (che sembrano raccogliere quest’anno il 70% del consenso giovanile) ma non decisive: la “generazione Obama” (i 18-24 anni) conta circa 25 milioni di cittadini. Di questi hanno votato nel 2004 11,6 milioni. Anche supponendo che il turn-over aumenti di un quarto, che sarebbe un risultato straordinario, si può sperare al massimo in 14,5 milioni di voti da ripartire fra i due partiti. Ora, gli ultrasessantacinquenni che hanno votato nel 2004 erano 24 milioni e quest’anno, per ragioni puramente demografiche, saranno circa 27 milioni. Gli anziani troveranno sulla scheda il nome di un loro coetaneo, John McCain, con una reputazione ben meritata di eroe di guerra: se in questa classe d’età i consensi si divideranno 56 a 44 per i repubblicani, come avviene di solito, questo significa circa 3 milioni di voti di vantaggio per McCain. Il divario a favore dei democratici nelle classi di età più giovani verrà molto ridotto.
Occorre inoltre vedere come si ripartiranno geograficamente questi voti: come ben si sa, negli Stati Uniti voto popolare e voto dei “grandi elettori” nominati stato per stato possono non coincidere, come avvenne nel 2000 quando Al Gore ebbe una maggioranza di voti popolari ma fu sconfitto ugualmente. Quest’anno, i voti degli universitari del Connecticut e del Massachusetts non serviranno, perché quegli stati comiunque sono a maggioranza democratica e, ai fini dell’elezione del presidente, ottenere il 51% o l’80% non fa differenza. Ciò di cui hanno bisogno i democratici sono i voti dei ventenni dell’Ohio, del Wisconsin, del New Mexico, del Nevada e della Florida, tutti stati dove lo spostamento di poche migliaia o decine di migliaia di suffragi può decidere del risultato per tutta la nazione. Sfortunatamente, New Mexico, Nevada e Florida sono tre stati con una forte popolazione di pensionati, attirati laggiù dal clima mite e dai prezzi bassi: una composizione demografica che favorisce i repubblicani (che infatti hanno vinto in tutti e tre sia nel 2000 che nel 2004, con l’eccezione del New Mexico nel 2000). I democratici, se non commetteranno errori in autunno (come spesso accade) hanno dalla loro parte una partecipazione popolare e un entusiasmo che mancano ai repubblicani: in Virginia, martedì 12, Obama ha raccolto da solo 619.000 voti, parecchi di più di quelli ottenuti da McCain, Huckabee e Ron Paul insieme.
Dopo le ultime vittorie nelle primarie, la candidatura Obama sembra inarrestabile ma occorre capire come verrà recepita darebbe all’elettorato operaio e dalle donne a basso reddito. Nel 2004, per esempio, la percentuale di famiglie americane con un reddito annuo inferiore ai 50.000 dollari era del 38%. Tra i votanti, invece, chi era in questa fascia di reddito era solo il 34%: la sensazione, ancora una volta, di non trovare una rappresentanza politica adeguata sottrae preziosi consensi al partito democratico. Come si diceva già la settimana scorsa, una larga maggioranza dei democratici a basso reddito sosteneva Hillary e non è sicuro che siano disposti a dare il loro voto a Obama (visto come un candidato “alieno” nella corsa per la presidenza vera e propria. Per il senatore dell’Illinois, ormai passato in testa alle preferenze anche nei sondaggi nazionali) c’è però motivo di soddisfazione negli exit polls condotti ai seggi in Virginia: tra gli elettori democratici che guadagnano meno di 50.000 dollari l’anno, per la prima volta è Obama ad ottenere i maggiori consensi: 60% contro il 38% a Hillary. Anche tra gli anziani, per la prima volta, il nuovo front-runner è in testa: 54% contro 46% alla Clinton.