venerdì 15 febbraio 2008

L'onda Obama


(da: CFP NEWS - Anno 4 Numero 115 – 15 febbraio 2008)
di Valentina Pasquali, Washington DC
Una fila lunga 17.500 persone attendeva paziente fin dalle prime ore del mattino di lunedì all’esterno del Comcast Center dell’Università del Maryland a College Park, in uno dei giorni più freddi dell’anno. Uomini e donne d’ogni colore ed età, muniti di sedie pieghevoli, cibarie e mazzi di carte da gioco, aspettavano il comizio di Barack Obama alla vigilia di quella che gli americani avevano soprannominato Potomac Primary, ovvero le elezioni che si sono tenute martedì 12 febbraio in Virginia, Maryland e nel Distretto di Columbia, lungo le sponde del fiume Potomac.

“Questo paese ha bisogno di una visione per il futuro”, mi dice Steve, studente universitario di economia e antropologia. E’ stato lui il primo ad arrivare ai cancelli di questo palazzo dello sport imponente, arrampicato su una collina al centro del campus universitario. Era qui già alle cinque della mattina. Avvolto in una coperta spessa nel tentativo di sconfiggere il gelo, Steve mi racconta; “Barack Obama è un politico che ispira la gente, e che può portare questo paese in una nuova direzione”.

Joyce, una donna di colore, sulla cinquantina e che lavora per l’ufficio marchi e brevetti del governo americano, confessa di essersi innamorata di Obama il giorno in cui il senatore dell’Illinois parlò alla Convention Nazionale Democratica del 2004, l’anno che vide la rielezione di Gorge W. Bush e la sconfitta del candidato democratico John Kerry. Lunedì, Joyce si è messa in fila alle sei, infagottata in un cappotto invernale color carota, larghi occhiali da sole che le coprono il viso e spillette con la faccia di Obama attaccate tutt’attorno al suo berretto di lana nera. “Non mi piace il suo atteggiamento,” dice riferendosi a Hillary Clinton, “parla dell’elezione come fosse suo diritto ereditario.”

Così come previsto da tutti i sondaggi condotti durante le ultime settimane, l’area metropolitana del Distretto di Columbia si è rivelata essere, nelle primarie di martedì, proprietà privata di Barack Obama. Il senatore dell’Illinois ha vinto in tutta la regione con margini consistenti e a Washington DC ha battuto Clinton con il 75% delle preferenze contro il 24% ottenuto dalla senatrice di New York. Di certo le caratteristiche demografiche della città ne facevano il luogo ideale per Obama; una popolosa comunità afro-americana mista ai bianchi benestanti, con alti livelli d’educazione e che lavorano per il governo, le organizzazioni internazionali e le università della capitale.

Nonostante il risultato del voto sul fiume Potomac fosse in parte scontato, Barack Obama è riuscito comunque a sorprendere. I risultati di martedì hanno dimostrato come il candidato democratico stia lentamente conquistando il sostegno di tutta la base del partito, prevalendo anche tra quei gruppi demografici – come le donne bianche o i democratici a basso reddito – che fino a questa settimana parevano rimanere sostenitori fedeli di Hillary Clinton.

Sylvia e Bella corrispondono perfettamente al profilo dell’elettore della ex-first lady. Sono donne bianche di mezz’età e lavorano per una scuola elementare pubblica in un sobborgo del Maryland. Nonostante questo, anche loro si sono svegliate prima dell’alba per andare a sentire il comizio del senatore dell’Illinois lunedì. “Obama può rappresentare un nuovo inizio per gli Stati Uniti”, mi dice Bella. “Io non ne posso più dell’alternanza Bush-Clinton-Bush”, le fa eco Sylvia.

John Dickerson scrive di questo sviluppo sul quotidiano on-line Slate; “In ognuna delle precedenti vittorie di Obama, la squadra di Clinton cercava di individuare un’eccezione; Obama ha vinto perché tal stato ha una presenza sproporzionata di elettori di colore, oppure perché la consultazione aveva la forma di caucus, tradizionalmente dominato dagli attivisti di partito”. Erano questi tentativi non solo di spiegare le sconfitte di Clinton, ma anche di suggerire che Barack Obama non avrebbe mai potuto vincere in una elezione generale in cui è necessario trovare il sostegno di coalizioni più ampie. “Mentre Obama comincia ad esercitare il suo fascino anche sull’elettorato Clinton, le sue vittorie paiono sempre meno come delle eccezioni…Questi successi elettorali regalano ad Obama nuove cartucce da usare nelle prossime primarie, perché mostrano che egli può costruire un consenso che unisca gente di razza, sesso e classe differenti”, spiega Dickerson.

Martedì, giorno d’elezioni, ai seggi è una sfilata continua di votanti, nonostante la temperatura sia abbondantemente sotto zero. La partecipazione al voto, che fin ora è stata elevata in tutto il paese, ha un significato particolare in questa città con la fissazione della politica. Grazie ad una corsa alla nomination democratica ancora tutta da decidersi, questa è la prima volta che la nazione presta attenzione al voto nella capitale. Washington DC è stata sempre considerata troppo liberal e troppo afro-americana perché i suoi residenti potessero avere un impatto sul voto nazionale (Nelle elezioni presidenziali del 2004 John Kerry portò a casa l’89% dei voti contro il 9% di George Bush. Secondo le statistiche ufficiali del US Census Bureau, nel 2006 la popolazione di Washington DC era per il 56.5% di colore, contro il 12,8% della media nazionale). Quest’anno invece, come Charles Babington dell’Associated Press ha scritto la settimana scorsa, la gente di qui ha avuto “la rara opportunità di contribuire a determinare il risultato di un’elezione presidenziale anziché esserne semplicemente ossessionati”.

Faccio visita ad alcuni seggi in giro per Washington e l’impressione che ne traggo conferma tendenze di voto simili a quelle poi mostrate dai risultati delle primarie in Maryland, Virginia e Distretto di Columbia, ed un trasporto paragonabile a quello che avevo visto pervadere la lunga fila di persone all’Università del Maryland lunedì mattina.

“E’ arrivato il momento per un cambiamento”, mi dice un’anziana signora di colore. La campagna di Barack Obama ha noleggiato alcuni pullman con lo scopo di andare a prendere a casa quegli elettori senza accesso ad altri mezzi di trasporto per portarli a votare. E’ stato salendo su uno di questi autobus che ho fatto la sua conoscenza. La signora mi dà l’indirizzo di casa ma si rifiuta di dirmi il proprio nome. Però non mostra alcuna reticenza a votare per Obama contro una candidata donna; “Non penso che una donna possa guidare questo paese”, ha dichiarato. “Siamo diventate più intelligenti negli ultimi anni, ma non così intelligenti”.

Nonostante l’onda crescente d’entusiasmo, Barack Obama dovrà fare ancora molte telefonate e bussare su molte porte se vuole conquistare davvero il cuore dei sostenitori di Clinton e vincere così la loro approvazione definitiva, in particolare per quanto riguarda gli elettori ispanici, che nel caso della Potomac Primary rappresentavano solo il 5% degli aventi diritto al voto. José è un democratico d’origine messicana che vive in Maryland, lavora in città e quasi non parla inglese. Il suo voto va a Clinton, o “Miss Hillary” come la chiama lui. “Me gusta mucho”, José confessa in spagnolo.

“Il problema è che non sanno ancora chi è Obama”, mi spiega un sindacalista ispanico di Los Angeles ad un evento organizzato a Washington DC dalla campagna di Obama per la serata di martedì. “Più gli ispanici lo conoscono, più lo apprezzano”, mi dice convinto mentre i sostenitori del senatore dell’Illinois sono radunati nel salone da ballo del Madison Hotel decorato di palloncini blu, rossi e bianchi. Bicchieri di vino alla mano, i presenti applaudono ai risultati che lentamente arrivano dal conteggio dei voti e appaiono sui grandi schermi TV appesi ai muri del salone, e al sindaco di DC Adrian Fenty che arriva di persona per tenere un discorso in sostegno alla candidatura di Obama.

La cosiddetta name recognition (ovvero la capacità di un candidato di far conoscere il proprio nome all’elettorato nazionale), rimane un problema per Barack Obama specialmente con la comunità ispanica, che ha una lunga storia con la famiglia Clinton e un particolare apprezzamento per l’ex-first lady, icona dei gloriosi anni novanta quando i benefici del boom economico si estesero ben oltre i sobborghi bianchi fino ai loro quartieri di lavoratori immigrati. Matilde è una giovane donna ispanica che lavora come estetista a Dupont Circle – fra i quartieri più eleganti di Washington DC; “Non ho ancora deciso”, mi ha detto alla fine della scorsa settimana quando le ho chiesto per chi avrebbe votato. “Mi piace Hillary. Però mi piace anche l’altro. Mio figlio sta cercando di convincermi a votare per lui. Com’ è che si chiama pure?” mi ha domandato.

Il voto ispanico rimarrà un elemento fondamentale fino a che la nomination democratica non sarà decisa ed è certamente il vantaggio più importante che rimane ancora a Clinton. Tutti si aspettano che Barack Obama concluda il mese di Febbraio in trionfo, dopo aver vinto le ultime otto consultazioni elettorali e quasi certamente conquistando anche le primarie della settimana prossima in Wisconsin e Hawaii. Però, quando Ohio e Texas andranno alle urne il 4 marzo, Obama dovrà mostrare di essere in grado di accattivare la popolazione eterogenea tipica degli stati più popolosi (fino ad ora Hillary Clinton ha li ha vinti quasi tutti, compresi California, New Jersey e New York), se vorrà metter mano sulla maggior parte dei 370 delegati che saranno in palio allora.

Quanto ai 17.500 fan scatenati del Comcast Center, conquistati dall’oratoria spiritosa e accattivante di Obama; il loro ruolo nelle elezioni presidenziali è ancora tutto da determinare. Secondo i dati pubblicati da Circle, un centro di ricerca che si occupa della partecipazione civica alla vita politica degli Stati Uniti, il 16% dei giovani al di sotto dei trent’anni ha votato nelle primarie del Super Tuesday, contro il 31% del resto della popolazione.

Alla fine del comizio di lunedì, mentre il pubblico fa la ola, Tim, un amico che mi ha accompagnato all’evento, mi grida nell’orecchio; “Obama è come una rockstar”. E indica le tante ragazzine, poco più che diciottenni, che urlano “I love you, I love you” al senatore dell’Illinois. La domanda è: si ricorderanno di votare?

- Fotografie originali, scattate da Valentina Pasquali -