Washington D.C. – Con sole tre primarie ancora in calendario, Puerto Rico, Montana e South Dakota, Barack Obama ha già accumulato oltre la metà dei delegati che andranno alla convention di Denver in agosto. Per raggiungere quota 2025, il numero necessario ad ottenere la nomination, il Senatore dell’Illinois ha bisogno di soli 63 nuovi sostenitori. Ciò significa che, indipendentemente dai risultati delle prossime competizioni, Hillary Clinton deve convincere i superdelegati a ribaltare il verdetto popolare se vuole diventare il candidato del partito democratico alla Casa Bianca.Nella squadra di Obama si respira un’aria di giustificato ottimismo e il Senatore dell’Illinois mostra di pensare già alla campagna per le elezioni generali. Innanzitutto, Obama sta conducendo una serie di visite in stati, come ad esempio l’Iowa, che hanno votato nelle primarie, ma che sono considerati fondamentali per una vittoria a novembre. Inoltre, pare che la sua campagna elettorale abbia cominciato ad assumere nuovo personale in vista della lotta per la Casa Bianca. Infine, il Wall Street Journal ha riportato giovedì che fonti interne al Partito Democratico indicherebbero che Obama ha iniziato a riflettere sulla scelta del Vice-presidente.Nonostante le pressioni crescenti a che abbandoni la gara, Hillary Clinton pare determinata a proseguire la propria campagna elettorale perlomeno fino al 3 giugno, data delle ultime primarie. Obbligata a corteggiare il voto dei superdelegati, la ex-first lady ha bisogno di trovare sempre nuove spiegazioni del perchè la si debba ancora considerare un candidato plausibile. Ad esempio, la sua squadra elettorale sottolinea senza sosta l’importanza del voto popolare rispetto al numero di delegati, sostenendo che la Senatrice di New York ha ottenuto la percentuale più alta di preferenze, in un conteggio che arbitrariamente comprende i risultati di Michigan e Florida. Più di recente, Clinton ha provato a spostare l’attenzione sui voti elettorali, che non hanno rilevanza nelle primarie, ma determineranno l’esito delle presidenziali. L’ex-first lady insiste di aver vinto negli stati che mettono in palio il numero maggiore di voti elettorali, considerazione che teoricamente la rende il candidato democratico con le maggiori possibilità di vittoria contro John McCain. In sostanza, e come ha ironicamente enfatizzato qualche settimana fà Keith Olbermann, commentatore politico di MSNBC, Clinton continua a cambiare la propria interpretazione dei dati di voto dopo ogni turno elettorale, e a seconda dei risultati da lei ottenuti quel giorno.Nel perseguire questa strategia, Hillary Clinton sta assumendosi il rischio di inimicarsi il partito, di mettere a repentaglio future possibilità di ricandidarsi alla presidenza ed in generale di rovinare la propria carriera politica, che, a sessant’anni d’età, potrebbe essere ancora molto lunga. Le ragioni che la stanno spingendo a questa scelta sono indubbiamente numerose.In parte si tratta di considerazioni pragmatiche, che hanno a che vedere con lotte interne al partito e con la volontà di vedere riconsciuta la propria influenza politica anche in caso di sconfitta. In questo senso è interessante l’analisi offerta da Dan Conley su Salon, a proposito di cosa Hillary Clinton potrebbe volere in cambio del proprio ritiro. Innanziutto, Hillary potrebbe chiedere ad Obama di ripagarle parte dei debiti contratti per mandare avanti la propria campagna elettorale. In secondo luogo, la Senatrice di New York potrebbe domandare che Obama sottoscriva, da candidato del partito, alcune delle proposte politiche di Clinton, come ad esempio il programma per la sanità. È probabile, infine, che Hillary Clinton pretenda di essere la prima a cui viene offerto il posto di candidato alla vice-presidenza.Esistono però anche altre ragioni, e non meno importanti, dietro la decisione di Hillary Clinton di rimanere in gara. Ragioni che vanno trovate innanzitutto nella motivazione di milioni di elettori democratici che continuano a votare per lei nonostante sia chiaro a tutti che le possibilità della Senatrice di New York di aggiudicarsi la nomination sono pressochè inesistenti. Che si tratti di razzismo di fondo, diffuso in maniera endemica anche tra gli elettori del partito dell’asinello, e in particolare tra i lavoratori bianchi a basso redditto e con bassi livelli di educazione, o invece dei dubbi che molti americani nutrono su Barack Obama per via della sua inesperienza, è fondamentale che il Senatore dell’Illinois vi dedichi una riflessione seria, perchè potrebbero essere proprio queste problematiche a costargli la Casa Bianca in un anno in cui tutto sembra indicare che gli Stati Uniti sono pronti per un nuovo presidente democratico.
Valentina Pasquali