Niente di peggio dei mesi o delle settimane in cui il re, malato, finge ancora di essere in carica mentre i sudditi contano i giorni, i baroni tramano la successione e perfino i fedelissimi abbandonano la sala del Trono. George W. Bush apparentemente gode di un’ottima salute fisica ma è stato colpito da una malattia mortale: la Costituzione americana gli vieta di ricandidarsi e questo automaticamente lo fa decadere dal ruolo di leader del partito. Nel palazzo del potere abita ancora lui, ma il nuovo leader è il successore designato, John McCain.
McCain è tutt’altro che un giovane e ambizioso cavaliere, essendo più anziano e anche più saggio di Bush, ma sta cercando di farsi eleggere rinnegando gran parte dell’eredità del suo predecessore. Da soldato leale è ancora d’accordo con la guerra in Iraq, ma per il resto si preoccupa di fare sapere che la sua amministrazione sarà, se eletto, del tutto diversa da quella di Bush, in particolare sull’ambiente. McCain è un candidato rispettabile, oltre che abile, ma deve difendere i colori della casata in un torneo in cui gli avversari sono formidabili e in un anno in cui le truppe sono di dubbia lealtà.
Questo è apparso particolarmente evidente giovedì 15 maggio, quando anche il Senato, dopo la Camera, ha votato a schiacciante maggioranza una legge che stanzia un bel pacchetto di miliardi di dollari per i Food Stamps, quei buoni alimentari da cui varie decine di americani dipendono per non morire –letteralmente- di fame. In un Senato diviso esattamente a metà (49 democratici e 49 repubblicani, più 2 indipendenti) è assolutamente stupefacente che si crei una maggioranza di 81 senatori favorevole a un progetto di legge a cui Bush ha promesso di mettere il veto. Questo significa che 30 senatori repubblicani su 49 hanno deciso di ignorare i desideri di Bush e la tradizionale linea del partito per cercare di salvare il salvabile in novembre.
Certo, nel calcolo politico ci sono anche motivi per nulla nobili, come il fatto che la legge promette ben 40 miliardi di dollari in sussidi agli agricoltori. in particolare ai grandi gruppi agroindustriali che quest’anno semplicemente nuotano nei profitti, a causa dell’esplosione del prezzo dei cereali sul mercato mondiale. Ma, politicamente, è la prima volta che i democratici riescono ad ottenere l’alleanza di una frazione significativa dei repubblicani e, potenzialmente, a rovesciare un veto di Bush che per oltre 7 anni ha sempre governato con pugno di ferro il gruppo parlamentare (le fantasie sullo spirito bipartisan e la vocazione a “coalizioni centriste” nel Congresso americano vanno lasciate ai giornalisti che non hanno mai letto un manuale di storia politica di quel paese).
Dunque, Bush non controlla più il partito e le elezioni suppletive vanno a rotoli una dopo l’altra: nel giro di pochi giorni i repubblicani hanno perso tre seggi “sicuri”. Nei sobborghi di Chicago, il loro candidato è stato sconfitto dal democratico Bill Foster in un collegio dove Bush aveva avuto 5 punti percentuali più di John Kerry nel 2004. In Louisiana, quella che doveva essere una facile vittoria repubblicana (il margine nel 2004 era 7 punti a loro favore) si è trasformata in una disfatta. E, infine, il partito dell’elefante ha perso in una circoscrizione del Michigan dove George Bush ottenne il 62% dei voti alle ultime elezioni.Nella politica americana, chiunque faccia previsioni è un pazzo o un ciarlatano. Quest’anno, fidatevi della mia sfera di cristallo: in Congresso si creeranno maggioranze democratiche simili a quelle ottenute da Franklin Roosevelt.
McCain è tutt’altro che un giovane e ambizioso cavaliere, essendo più anziano e anche più saggio di Bush, ma sta cercando di farsi eleggere rinnegando gran parte dell’eredità del suo predecessore. Da soldato leale è ancora d’accordo con la guerra in Iraq, ma per il resto si preoccupa di fare sapere che la sua amministrazione sarà, se eletto, del tutto diversa da quella di Bush, in particolare sull’ambiente. McCain è un candidato rispettabile, oltre che abile, ma deve difendere i colori della casata in un torneo in cui gli avversari sono formidabili e in un anno in cui le truppe sono di dubbia lealtà.
Questo è apparso particolarmente evidente giovedì 15 maggio, quando anche il Senato, dopo la Camera, ha votato a schiacciante maggioranza una legge che stanzia un bel pacchetto di miliardi di dollari per i Food Stamps, quei buoni alimentari da cui varie decine di americani dipendono per non morire –letteralmente- di fame. In un Senato diviso esattamente a metà (49 democratici e 49 repubblicani, più 2 indipendenti) è assolutamente stupefacente che si crei una maggioranza di 81 senatori favorevole a un progetto di legge a cui Bush ha promesso di mettere il veto. Questo significa che 30 senatori repubblicani su 49 hanno deciso di ignorare i desideri di Bush e la tradizionale linea del partito per cercare di salvare il salvabile in novembre.
Certo, nel calcolo politico ci sono anche motivi per nulla nobili, come il fatto che la legge promette ben 40 miliardi di dollari in sussidi agli agricoltori. in particolare ai grandi gruppi agroindustriali che quest’anno semplicemente nuotano nei profitti, a causa dell’esplosione del prezzo dei cereali sul mercato mondiale. Ma, politicamente, è la prima volta che i democratici riescono ad ottenere l’alleanza di una frazione significativa dei repubblicani e, potenzialmente, a rovesciare un veto di Bush che per oltre 7 anni ha sempre governato con pugno di ferro il gruppo parlamentare (le fantasie sullo spirito bipartisan e la vocazione a “coalizioni centriste” nel Congresso americano vanno lasciate ai giornalisti che non hanno mai letto un manuale di storia politica di quel paese).
Dunque, Bush non controlla più il partito e le elezioni suppletive vanno a rotoli una dopo l’altra: nel giro di pochi giorni i repubblicani hanno perso tre seggi “sicuri”. Nei sobborghi di Chicago, il loro candidato è stato sconfitto dal democratico Bill Foster in un collegio dove Bush aveva avuto 5 punti percentuali più di John Kerry nel 2004. In Louisiana, quella che doveva essere una facile vittoria repubblicana (il margine nel 2004 era 7 punti a loro favore) si è trasformata in una disfatta. E, infine, il partito dell’elefante ha perso in una circoscrizione del Michigan dove George Bush ottenne il 62% dei voti alle ultime elezioni.Nella politica americana, chiunque faccia previsioni è un pazzo o un ciarlatano. Quest’anno, fidatevi della mia sfera di cristallo: in Congresso si creeranno maggioranze democratiche simili a quelle ottenute da Franklin Roosevelt.
Fabrizio Tonello