Dunque, sarà Obama. I risultati del 6 maggio non lasciano speranze a Hillary Clinton che, per testardaggine e affetto nei confronti dei sostenitori che l’hanno seguita fin qui, aspetterà probabilmente giugno e la fine ufficiale della stagione delle primarie per ritirarsi ma non ha più alcuna vera speranza di strappare la candidatura a Barack Obama. Questi ha circa 150 delegati più di lei e ne otterrà almeno quanti la Clinton, se non di più, nella ripartizione di quelli che non hanno ancora dichiarato ufficialmente il loro appoggio a uno dei due aspiranti alla leadership del partito democratico.A questo punto la domanda è: il giovane e carismatico senatore dell’Illinois può vincere? La furiosa battaglia delle primarie non ha fornito argomenti in abbondanza ai repubblicani per distruggerlo fra settembre e ottobre, come fecero assai facilmente quattro anni fa con John Kerry? La risposta è che può succedere, ma i venti spirano in tutt’altra direzione. I democratici americani possono perdere ma poiché questo è un anno in cui tutto li favorisce, se ciò accade dovrebbero dedicarsi “to another line of business”, a un altro mestiere, come dicono a New York.Le chiacchere dei giornali, i pettegolezzi delle televisioni, la propaganda assassina a base di spot abilmente manipolati possono lasciare il segno ma i cittadini americani andranno alle urne in novembre con tre cose in mente: l’economia, la guerra in Iraq e la paralisi politica. L’economia non va bene (i prezzi delle case continuano a scendere, milioni di famiglie sono già sulla strada perché non riescono a pagare il mutuo) e, soprattutto, l’inflazione morde nel portafoglio degli automobilisti, cioè di tutti. Il prezzo della benzina ha superato ogni record storico e nessuno sa come intervenire.La guerra continua, forse è scomparsa dagli schermi televisivi ma le lettere alle famiglie dei caduti, o dei mutilati, continuano ad arrivare.Infine, la paralisi della politica a Washington, frutto della polarizzazione dei due partiti e di una presidenza da troppo tempo in mani repubblicane, è diventata un costo non più sostenibile per il Paese. Gli americani sanno che il prossimo Congresso sarà a maggioranza democratica (ogni giorno un deputato repubblicano annuncia di non volersi presentare, nella certezza di essere sconfitto) e quindi gli elettori tenteranno la carta di un esecutivo riunificato al legislativo, di un presidente democratico che promette di cambiare l’inerzia e la corruzione della capitale.Come ha scritto Timothy Garton Ash qualche giorno fa, è molto probabile che alle grandi speranze attuali corrispondano domani delusioni ancora più profonde, ma questo per il momento non ci riguarda: gli esiti della campagna elettorale sono ancora estremamente incerti ma le carte distribuite fin qui favoriscono Barack Obama. Poi, al tavolo di poker, si può perdere anche con un full d’assi servito.
Fabrizio Tonello
Fabrizio Tonello