Washington D.C. – Nell’ultimo numero della newsletter abbiamo illustrato le radici teoriche della politica di Tolleranza Zero che, dagli anni Ottanta ad oggi, ha contribuito significativamente all’aumento del numero dei cittadini americani dietro le sbarre. Abbiamo anche trattato dello stato del sistema penitenziario americano, con suoi numeri e suoi costi. Gli effetti della Tolleranza Zero sul tasso di criminalità sono molto discussi, e spesso terreno di scontro elettorale, mentre continua a mancare da parte della classe politica un’analisi seria di tale approccio.Quest’anno la spesa per il mantenimento delle carceri e l’efficacia reale ai fini della sicurezza non sono tra i temi più sentiti della campagna elettorale 2008. Ma nessun candidato o stratega politico considererebbe saggio proporre un programma che possa apparire “soft on crime”, come si direbbe negli Stati Uniti. In un sondaggio condotto da Gallup nel 2006, il 51% degli intervistati si è dichiarato convinto che il tasso di criminalità nella propria comunità fosse più alto che l’anno precedente, e il 68% ha mostrato di avere la medesima percezione per quanto riguarda il crimine a livello nazionale. In sostanza, difficilmente gli Americani potrebbero venir persuasi a votare per un politico, repubblicano o democratico, che appaia poco risoluto in maniera di criminalità.Inoltre i carcerati ed ex-carcerati, che potrebbero essere gli unici interessati a nuove politiche in materia, sono privati del diritto di voto nella maggior parte degli stati dell’Unione, non solamente durante l’incarceramento, ma spesso vita natural durante. Ad oggi si calcola che a 5,3 milioni di Americani che hanno avuto problemi con la legge sia proibito di votare. Tra costoro, 2 milioni sono quelli che hanno già finito di scontare le proprie pene e 1,8 milioni sono agli arresti domiciliari o hanno ottenuto una sospensione della condanna. In elezioni che si giocano spesso sul filo di lana, poche migliaia di voti, questa situazione può avere conseguenze politiche decisive, in particolare per il partito democratico.Va detto che ci sono alcuni segnali positivi. Recentemente Alabama, Florida, Iowa, Maryland e Mississippi hanno modificato legislazioni che toglievano per sempre il diritto di voto a chiunque fosse stato incarcerato. Esiste inoltre una proposta di legge del Deputato democratico dello Stato di New York Charles Rangel che reistituirebbe immediatamente il diritto di voto al rilascio dalla galera. Il testo di legge è in attesa di essere discusso alla Camera dal 2003. Nonostante questi sviluppi, per il momento non bisogna attendersi dal nuovo presidente, che si tratti di McCain, di Obama o di Clinton, cambiamenti significativi alla politica sul crimine.In assenza di un dibattito propriamente politico sul sistema penitenziario in America, abbondano invece gli studi specialistici a disposizione. Un articolo di Adam Liptak sul New York Times di qualche settimana fà cita due esempi interessanti e contrapposti. Da un lato, secondo le statistiche del Dipartimento della Giustizia, dal 1981 al 1996 il rischio di arresto e condanna per tutti i crimini tranne l’omicidio, è cresciuto negli Stati Uniti e calato in Inghilterra. E le statistiche sul crimine nei due paesi mostrano di essere inversamente proporzionali, in calo negli Stati Uniti e in crescita in Inghilterra. D’altra parte, se si paragonano Canada e Stati Uniti, si scopre che i tassi di criminalità si sono spostati, durante gli ultimi quarant’anni, secondo curve parallele, nonostante il numero di incarcerazioni sia rimasto stabile in Canada e sia invece cresciuto esponenzialmente in America, in particolare a partire dagli anni ottanta.Uno studio del Justice Policy Institute, un centro di ricerca con sede a Washington DC, suggerisce inoltre che altri e diversi fattori influenzano i tassi di criminalità. Ad esempio, all’aumento dei livelli di occupazione è direttamente associato un miglioramento delle condizioni di sicurezza pubblica. I ricercatori hanno scoperto che esiste una relazione tra l’aumento dell’occupazione e la diminuzione della criminalità avvenute tra il 1992 e il 1997. In tale lasso di tempo, la disoccupazione in America è scesa del 33%. L’analisi del Justice Policy Institute sottolinea che oltre il 40% della simultanea diminuzione dei tassi di criminalità è attribuibile proprio alla crescita nel numero di posti di lavoro. Anche l’aumento dei salari pare essere collegato direttamente alla sicurezza pubblica. Secondo le ricerche effettuate, un aumento salariale del 10% potrebbe essere sufficiente a ridurre dell’1,4% il numero di ore che uomini in giovane età in particolare dedicano ad attività criminose. Infine, è stato rilevato che quegli stati dell’Unione con più alti livelli di occupazione mostravano tassi di criminalità inferiori alla media nazionale.Un esempio di come alternative alla Tolleranza Zero siano non solo possibili ma anche auspicabili arriva, un po’ sorprendentemente, dal Texas, lo stato di Bush tra i più conservatori del paese. Tra il 1985 e il 2005, il numero di persone in galera è cresciuto qui del 300%. Nonostante l’Assemblea dello Stato avesse scelto inizialmente di aumentare il budget destinato alla costruzione e all’ampliamento dei penitenziari, nel 2007 un’azione bipartisan ha dato il via ad una riforma del sistema. Invece che autorizzare la spesa di ulteriori 523 milioni di dollari per aggiungere nuove celle alle carceri, il Texas ha scelto di finanziare l’espansione dei programmi di riabilitazione e ha reso più flessibili le norme sugli arresti domiciliari e sulla detenzione pre-processo. Si stima che la riforma farà risparmiare lo stato circa 210 milioni di dollari nei prossimi due anni, mentre la popolazione carceraria dovrebbe rimanere costante per i prossimi cinque anni.
Valentina Pasquali
Valentina Pasquali