L’ultima teoria dei giornalisti italiani che seguono le elezioni americane è che, di fronte a un partito democratico incerto e diviso sui candidati, John McCain avrà una facile vittoria in novembre, chiunque sia il portabandiera degli avversari, Barack Obama o Hillary Clinton. Le “pezze giustificative” di questa teoria stanno nei sondaggi, per esempio il rispettato istituto Rasmussen offre questi numeri: se le elezioni presidenziali si fossero tenute il 2 aprile, John McCain avrebbe ottenuto il 48% contro il 41% a Barack Obama. Contro Hillary Clinton, McCain avrebbe avuto sostanzialmente lo stesso risultato: 47% contro 42%. Ma questi numeri significano qualcosa? In realtà McCain, che vincerebbe facilmente l’Oscar per il politico più fortunato del decennio, ottiene molti più consensi del suo partito: un “generico” candidato democratico alla Presidenza sarebbe in vantaggio di ben 13 punti percentuali su un “generico” candidato repubblicano (50 percento a 37 percento), secondo un sondaggio commissionato dallo Wall Street Journal. L’illusione del vantaggio di McCain su Clinton e Obama nasce da questo, e dal fatto che gli elettori democratici non si sono ancora mentalmente focalizzati sul battere i repubblicani perché la questione di chi sarà il loro candidato non è ancora risolta.
In questo momento, Obama e la Clinton raccolgono, rispettivamente, il 77 per cento e l’80 per cento del voto democratico contro McCain: una percentuale molto bassa considerando la tendenza alla mobilitazione dell’elettorato democratico in funzione anti-Bush. Non c’è dubbio che in autunno, risolta la questione interna al partito (sia pure a prezzo di divisioni che si protrarranno fino alla convenzione di agosto) gli elettori democratici si mobiliteranno per cacciare i repubblicani dalla Casa Bianca e mettere fine a un ciclo conservatore che ha portato l’economia alla rovina e il Paese in guerra. In questo momento McCain ottiene l’86 per cento del voto dei repubblicani e una buona percentuale fra gli indipendenti ma questa “luna di miele” con l’elettorato è destinata a durare poco, soprattutto se le condizioni dell’economia si aggravano. Nessun partito è stato storicamente capace di riconquistare la Casa Bianca se, nell’anno elettorale, inflazione e disoccupazione tendevano a salire. Ronald Reagan chiamò la somma di queste due percentuali “indice della miseria” e, nel 1980, gli elettori lo plebiscitarono contro uno sfortunato Jimmy Carter. Non c’è dubbio che i democratici sapranno ritorcere questo argomento contro McCain, al momento giusto. Quindi è vero che McCain è un candidato relativamente forte ma le tendenze di fondo dell’elettorato americano, raramente disposto a confermare lo stesso partito alla Presidenza per tre volte di seguito, sono contro di lui. Al Senato e alla Camera si sa già che le maggioranze di cui già godono i democratici si rafforzeranno: per la Casa Bianca la situazione si chiarirà soltanto in autunno ma dare oggi per favorito McCain significa ignorare i fattori strutturali che governano le elezioni americane.
In questo momento, Obama e la Clinton raccolgono, rispettivamente, il 77 per cento e l’80 per cento del voto democratico contro McCain: una percentuale molto bassa considerando la tendenza alla mobilitazione dell’elettorato democratico in funzione anti-Bush. Non c’è dubbio che in autunno, risolta la questione interna al partito (sia pure a prezzo di divisioni che si protrarranno fino alla convenzione di agosto) gli elettori democratici si mobiliteranno per cacciare i repubblicani dalla Casa Bianca e mettere fine a un ciclo conservatore che ha portato l’economia alla rovina e il Paese in guerra. In questo momento McCain ottiene l’86 per cento del voto dei repubblicani e una buona percentuale fra gli indipendenti ma questa “luna di miele” con l’elettorato è destinata a durare poco, soprattutto se le condizioni dell’economia si aggravano. Nessun partito è stato storicamente capace di riconquistare la Casa Bianca se, nell’anno elettorale, inflazione e disoccupazione tendevano a salire. Ronald Reagan chiamò la somma di queste due percentuali “indice della miseria” e, nel 1980, gli elettori lo plebiscitarono contro uno sfortunato Jimmy Carter. Non c’è dubbio che i democratici sapranno ritorcere questo argomento contro McCain, al momento giusto. Quindi è vero che McCain è un candidato relativamente forte ma le tendenze di fondo dell’elettorato americano, raramente disposto a confermare lo stesso partito alla Presidenza per tre volte di seguito, sono contro di lui. Al Senato e alla Camera si sa già che le maggioranze di cui già godono i democratici si rafforzeranno: per la Casa Bianca la situazione si chiarirà soltanto in autunno ma dare oggi per favorito McCain significa ignorare i fattori strutturali che governano le elezioni americane.
Fabrizio Tonello