venerdì 25 gennaio 2008

C'era una volta in America

(da: CFP NEWS - Anno 4 Numero 112 – 25 gennaio 2008)

Questa settimana ho scambiato almeno una dozzina di email con un amico della Columbia University a cui cercavo di spiegare cosa stesse succedendo nel triangolo delle Bermude "Signora Mastella-Ministro Mastella-Crisi di governo". Per quanto mi sia sforzato di essere chiaro e comprensibile, il mio collega palesemente faticava a capire la logica della politica
italiana. "Ma se c'è un'inchiesta sulla moglie, perché il marito si dimette?" era la sua domanda-chiave. Già, perché? Io avrei volentieri risposto che anche in Italia l'etica del servizio pubblico è così forte che il semplice sospetto di malaffare verso la moglie di Cesare (in questo caso, Clemente) era abbastanza per provocare le dimissioni da ministro di un uomo politico che vuole essere al di sopra di ogni sospetto.
Purtroppo, la risposta che ho dovuto dare era assai differente: al mio collega americano ho dovuto spiegare che Mastella si era prima dimesso, e poi era uscito dalla maggioranza, perché lamentava una insufficiente solidarietà da parte di Prodi CONTRO i giudici, una "debolezza" del
centrosinistra nel mettere il bavaglio alla magistratura.
Il mio amico ha risposto con un messaggio lapidario: "And what about SEPARATION-OF-POWERS?" ovvero: "Avete mai sentito parlare della separazione dei poteri?" Una volta rassicurato sul fatto che anche la ricca biblioteca del Senato contiene varie edizoni di Montesquieu, insisteva nel chiedermi com'era possibile che dei politici attaccassero i giudici per le loro inchieste, cosa che nemmeno Richard Nixon aveva osato fare. Non avendo risposta migliore, sono andato a cercare gli atti della convenzione costituzionale di Filadelfia dove, discutendo dell'impeachment, un delegato si spinse fino ad affermare che "se rieletto, il presidente sarebbe di per sé assolto da ogni accusa", intendendo che il giudizio POLITICO del popolo sovrano doveva avere la precedenza sul giudizio PENALE dei tribunali.

Il delegato si chiamava Gouverneur Morris ma, come il mio collega non ha mancato di farmi notare, la sua posizione rimase assolutamente isolata. L'impeachment entrò nella costituzione e l'idea di mettere i politici in qualche modo al di sopra della legge penale, o di renderli immuni dalle inchieste della magistratura, fu sepolta per sempre in quei giorni del settembre 1787. A questo punto, lo scambio epistolare, con mio grande sollievo, si è interrotto. Già, perché la soluzione americana ai possibili conflitti tra i diversi poteri dello Stato è una e una sola: sono i giudici ad avere l'ultima parola. Questo non solo sulle questioni di costituzionalità delle leggi (la Corte Suprema ha competenze e poteri assai più vasti e solidi della nostra Corte Costituzionale) ma soprattutto nel controllo sulla moralità pubblica, che esclude anche la sola ipotesi di una "immunità parlamentare" di qualche tipo.

Deputati e senatori sono oggetto di indagini, intercettazioni telefoniche e perfino arresti senza che nessuno abbia alcunché da obiettare. L'idea che questi poteri possano venire esercitati per ragioni partigiane o per colpire delle minoranze politiche è stata esclusa fino ad oggi dal senso
di responsabilità delle procure, sottoposte a uno stretto controllo da parte della stampa. Il fatto che esse siano nella maggioranza dei casi elettive, quindi soggette a subire le conseguenze politiche di iniziative imprudenti, rafforza il controllo su possibili abusi. Questo in tempi
recenti, naturalmente: nel 1920 il candidato socialista alla presidenza Eugene Debs era in cella, condannato per reati politici, e lì rimase fino al 1921, quando fu graziato.

Il caso più recente, dell'agosto 2007, è quello del senatore dell'Idaho Larry Craig arrestato per aver fatto delle avances a un poliziotto nelle toilette maschili dell'aereoporto di Minneapolis. L'Idaho è uno stato ultraconservatore, dove lo stesso Craig è stato eletto tre volte, l'ultima delle quali con il 65% dei voti ma né la legge, né considerazioni di "opportunità" hanno impedito di arrestarlo sul posto, processarlo nel giro di 24 ore e condannarlo sulla base del patteggiamento accettato dall'uomo politico.

Varie organizzazioni non governative tengono una precisa contabilità delle indagini su senatori, deputati e governatori: Citizens for Responsibility and Ethics in Washington tiene addirittura una lista aggiornata dei 22 politici "più corrotti", fatta per l'87% di repubblicani (i democratici
sono soltanto 3). Negli ultimi due anni c'è stata un'ecatombe di
dimissioni fra i deputati vicini a Bush a causa dell'arresto e della condanna a sei anni di prigione del lobbista Jack Abramoff, i cui legami con il partito repubblicano erano ferrei. Il patteggiamento di Abramoff ha condotto alle dimissioni Tom DeLay, il capogruppo del partito alla Camera, e all'apertura di una serie di indagini giudiziarie che non si sono ancora
concluse. Uno dei motivi per cui DeLay è oggi un feroce oppositore della candidatura alla Presidenza di John McCain è che questi non difese i colleghi di partito quando scoppiò lo scandalo.

Risalendo nel tempo, troviamo il caso di William Janklow, un deputato ed ex governatore del South Dakota, che fu costretto alle dimissioni nel 2004, dopo essere stato condannato a tre mesi di carcere per omicidio colposo sulla strada. Apparentemente Janklow aveva (o era costretto ad avere) standard etici differenti da quelli del nostro "governatore" della Sicilia, che ha festeggiato a champagne e cannoli dopo essere stato condannato a 5 anni di galera per favoreggiamento di mafiosi d'alto rango.

Infine, nel 2001, troviamo il caso di James Traficant, espulso dalla Camera dopo essere stato condannato a 8 anni di prigione per corruzione. Anche in questo caso nessuno si prestò orecchio agli strilli del deputato democratico che gridava alla "persecuzione politica".

Per quanto interessa a noi, il punto chiave non è tanto la facilità con cui negli Stati Uniti la polizia indaga, i giudici valutano le prove e le giurie condannano, quanto il fatto che i giornali e la classe politica sono grosso modo unanimi nell'esigere le dimissioni di chi si fa cogliere
con le mani nel sacco. Il Congresso americano, in particolare negli anni di Bush jr., è diventato dal punto di vista etico una fogna (e non a caso sta in fondo alla lista delle istituzioni in cui i cittadini hanno fiducia) ma gli anticorpi ancora funzionano.

Al contrario, in Italia, non solo questo spirito "bipartisan" nell'esigere che i corrotti si facciano da parte non esiste ma l'ostilità nei confronti del controllo della magistratura sulle attività dei politici sta diventando, quella sì, un sentimento condiviso anche da parte del centrosinistra. Una deriva pericolosissima.