domenica 2 novembre 2008

Elezioni americane: si decide in Virginia e Ohio

A 48 ore dal voto, la dinamica della campagna elettorale negli Stati Uniti è ormai chiara. Si delinea una larga vittoria di Obama, che nel collegio elettorale potrebbe avere più di 300 voti (Bill Clinton nel 1992 ne ottenne 370 e il più qualificato dei siti che offrono statistiche politiche, fivethirtyeight, ne assegna a Obama 344).
Questo è il risultato di ciò che è successo immediatamente dopo le due convention, che avevano rianimato le speranze dei repubblicani (McCain fino alla convention democratica era sempre rimasto indietro, sia pure di poco, nei sondaggi). La nomina di Sarah Palin come candidato vicepresidente aveva riportato i fondamentalisti evangelici e i fanatici delle armi a mobilitarsi per il partito e questo si era immediatamente percepito nei sondaggi, dove per un momento McCain era passato in testa.
In realtà, il momento magico del senatore dell’Arizona è durato soltanto dieci giorni, perché a partire dal 15 settembre (fallimento della Lehman Brothers) le sue fortune sono andate nella stessa direzione dell’indice Dow Jones alla Borsa di New York: in basso, sempre più in basso.
Fino a sei settimane fa sembrava che, dopo tutti gli sforzi, le enormi spese e la mobilitazione dei due campi, la mappa dei risultati delle elezioni presidenziali 2008 dovesse risultare estremamente somigliante a quella del 2000 e del 2004: tutta la costa del Pacifico (Washington, Oregon e California) che era andata senza incertezze con Kerry, sarebbe andata a Obama. Questi non ha mai avuto problemi nemmeno lungo la costa atlantica, dal confine col Canada fino al Delaware, cioè negli stati di New York, nel New England (Connecticut, Rhode Island, Massachusetts, Vermont e anche nel conservatore New Hampshire) oltre che, naturalmente in California.I democratici sono sempre stati inoltre favoriti in Wisconsin, Illinois, New Jersey, Minnesota. Il terreno di scontro più aspro erano gli stati industriali del centronord: Ohio, Michigan,Pennsylvania, oltre a stati agricoli come l’Iowa e, nell’Ovest, il Colorado e il New Mexico. Oggi, invece, si sono rafforzate (almeno, secondo gli ultimi sondaggi) le speranze di Obama di “sfondare” in stati tradizionalmente repubblicani come la Virginia, il North Carolina, la Georgia e perfino l’Indiana, i due Dakota, il Montana (questi ultimi sarebbero però un colpo di fortuna). 
Nel 2004, tutto il Sud e l’Ovest erano andati ai repubblicani, ed erano stati sufficienti per vincere: oggi non più. Quest’anno la struttura del collegio elettorale favorisce i democratici e, per rimontare, i repubblicani, i dovrebbero assolutamente vincere in Pennsylvania (21 voti elettorali) e non possono perdere in Ohio (20 voti) né Florida (27 voti). I sondaggi non sembrano però favorevoli a McCain in nessuno di questi tre stati.
Poiché è ormai scontato che riconquistando Iowa e New Mexico (nel 2004 a Bush per una manciata di voti) assieme al Colorado, Obama è già a quota 264 (il numero magico per entrare alla Casa Bianca è 270) è sufficiente una vittoria democratica in Nevada (5 voti elettorali) per arrivare a 269. Se le cose restassero a questo punto, le sorti degli Stati Uniti (e del mondo) nei prossimi quattro anni sarebbero decise dal modo in cui votano i baristi, le cameriere ai piani, le donne delle pulizie e le spogliarelliste che lavorano sullo Strip, la luccicante arteria centrale di Las Vegas. Il Nevada è uno stato piuttosto sindacalizzato (si può fare la spogliarellista ed essere iscritte al sindacato) e ha una forte popolazione ispanica (20%), un discreto numero di afroamericani (7%), una bassa percentuale di popolazione sopra i 65 anni, quindi Obama può farcela.
Tuttavia, per fortuna dei democratici, le sorti di questa elezione non dipenderanno dai dadi che si gettano sul tappeto verde del Caesar’s Palace: come abbiamo detto, crolleranno alcuni bastioni repubblicani come la Virginia (13 voti elettorali) e in Ohio e Florida il favorito è ugualmente Obama. Lo spostamento complessivo di 61 voti elettorali in questi tre stati darà ai democratici la presidenza, con ampie maggioranze anche alla Camera e al Senato.

Fabrizio Tonello