La dinamica della campagna elettorale negli Stati Uniti è cambiata con le due convention: i due partiti hanno trovato il modo di mobilitare la base e di accendere l’entusiasmo per i propri candidati. Questo ha rianimato le speranze dei repubblicani, che fino alla convention democratica erano sempre rimasti indietro, sia pure di poco, nei sondaggi. La nomina di Sarah Palin come candidato vicepresidente ha riportato i fondamentalisti evangelici e i fanatici delle armi a mobilitarsi per il partito e questo si è immediatamente percepito nei sondaggi, dove ora McCain è in testa.In realtà, in una elezione federale e di secondo grado come quella per il presidente americano, non ha molta importanza essere davanti o dietro nei sondaggi nazionali (a meno che il distacco non sia molto grande), il problema è come sta andando negli stati incerti, quelli che potrebbero essere conquistati sia dall’uno che dall’altro candidato, che sono una piccola minoranza.Dopo tutti gli sforzi, le spese e la mobilitazione dei due campi, la mappa dei risultati delle elezioni presidenziali 2008 risulterà estremamente somigliante a quella del 2000 e del 2004: tutta la costa del Pacifico (Washington, Oregon e California) che era andata senza incertezze con Kerry, andrà a Obama. Questi prevarrà anche lungo la costa atlantica dal confine col Canada fino al Delaware, cioè a New York, nel New England (Connecticut, Rhode Island, Massachusetts, Vermont e anche nel conservatore New Hampshire) oltre che, naturalmente in California.I democratici rimangono inoltre favoriti in Wisconsin, Illinois, New Jersey, Minnesota.Il terreno di scontro più aspro sono stati gli Stati industriali del centronord: Ohio, Michigan,Pennsylvania, stati agricoli come l’Iowa e, nell’Ovest, il Colorado e il New Mexico. Sono invece svanite (almeno, secondo gli ultimi sondaggi) le speranze di Obama di “sfondare” in stati tradizionalmente repubblicani come l’Indiana, i due Dakota, il Montana. Tutto il Sud e l’Ovest andranno ai repubblicani: l’unico punto di incertezza è la Virginia. Poiché la struttura del collegio elettorale favorisce i repubblicani, i democratici devono assolutamente vincere in Pennsylvania (21 voti elettorali) e possono perdere Ohio (20 voti) oppure Florida (27 voti) solo riconquistando Iowa e New Mexico che nel 2004 erano andati a Bush per circa diecimila voti in Iowa, e seimila in New Mexico.Questo porterebbe il totale dei voti elettorali di Obama, se conserva tutti gli stati in cui vinse John Kerry nel 2004, a 264. Per arrivare o superare la magica cifra di 270, Obama deve vincere il Colorado (9 voti elettorali) dove però, in questo momento, è in vantaggio McCain oppure nell’ultimo degli Stati incerti, e cioè il Nevada (5 voti elettorali). Poiché i democratici contano di pescare un singolo voto elettorale in Nebraska (dove vige un meccanismo di attribuzione dei delegati diverso da tutti gli altri stati, tranne il Maine) andrebbero a quota 265, più 5 del Nevada = 270.Ciò significa che, con ogni probabilità, le sorti degli Stati Uniti (e del mondo) nei prossimi quattro anni saranno decise dal modo in cui votano i baristi, le cameriere ai piani, le donne delle pulizie e le spogliarelliste che lavorano sullo Strip, la luccicante arteria centrale di Las Vegas.Nel 2004 Bush vinse di stretta misura (2,5% più di Kerry) quest’anno i sondaggi danno Obama e McCain testa a testa. Inoltre il Nevada è uno stato piuttosto sindacalizzato (si può fare la spogliarellista ed essere iscritte al sindacato) e ha una forte popolazione ispanica (20%), un discreto numero di afroamericani (7%), una bassa percentuale di popolazione sopra i 65 anni, solo il 10%, che tende a favorire McCain. Per di più, la recessione ha colpito anche l’industria del gioco: in luglio il fatturato è calato del 13% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso e parecchi casinò stanno riducendo il personale. Insomma, Obama può farcela ma deve andare a gettare i dadi che decideranno della sua sorte al Caesar’s Palace.
Fabrizio Tonello