lunedì 31 marzo 2008

Obama e il ruolo delle donne nella società americana




Dal municipio di Harrisburg (Pennsylvania), Barack Obama ritorna su uno dei suoi temi preferiti: come superare le divisioni tra uomini e donne, ed avere pari opportunità per tutti.

venerdì 28 marzo 2008

Due spot di Obama, in Indiana e North Carolina

La campagna di Barack Obama sta trasmettendo due spot televisivi in vista delle primarie che si terrano il prossimo 6 maggio. Il primo (di sopra) e' in onda in Indiana, uno stato i cui risultati si prevedono estremamente incerti. Il secondo (di sotto) e' diretto agli elettori del North Carolina dove Obama dovrebbe vincere in relativa facilita'.

McCain lancia il primo spot della campagna elettorale per le elezioni di novembre

Il candidato repubblicano alla Presidenza americana, gia' vincitore della nomination del proprio partito, lascia che Clinton e Obama si battano per conquistare il ruolo di condendente democratico e lancia la campagna elettorale per le presidenziali di novembre con questo spot di prova, trasmesso per ora solo in New Mexico. Lo spot conclude con la frase; "John McCain, il Presidente americano che gli americani stavano aspettando". Il blog liberal Talking Points Memo suggerisce che questo potrebbe essere un tentativo di creare gia' la contrapposizione diretta con Barack Obama, dal nome straniero e passato multiculturale...

La risposta dei candidati alla crisi

Washington DC – Il più recente indicatore del senso di crisi economica che sta infettando gli Stati Uniti è stato pubblicato da Conference Board, una società di ricerca con sede a New York. Secondo l’ultimo rilevamento effettuato, la fiducia dei consumatori è crollata dell’11,9% ed è oggi valutata a 64,5 punti, mentre solo a febbraio era 76,4. Anche il barometro delle aspettative sul futuro è in calo, 47,9 contro 58,0 del mese scorso. È questo il valore più basso registrato dal 1973, anno della crisi petrolifera mondiale.

La settimana scorsa avevo sottolineato come, nonostante il dibattito sulla recessione continuasse ad ampliarsi al Congresso, sui media e a tutti i livelli della società americana, i tre candidati in corsa per la Casa Biana mostrassero imbarazzo nell’affrontare questo tema. Negli ultimi giorni, pressati da una situazione in continuo peggioramento e dal desiderio del pubblico di conoscere il pensiero del futuro Presidente, Barack Obama, Hillary Clinton e John McCain hanno tutti finalmente accettato di parlare di economia.

Barack Obama è intervenuto per primo la settimana scorsa, con un discorso fatto in West Virginia, stato che terrà le primarie il prossimo 13 maggio. Il Senatore dell’Illinois ha puntato a creare un legame diretto tra i costi che la guerra in Iraq sta imponendo sui cittadini americani e la recessione. “Quando spendete oltre 50 dollari per fare il pieno della vostra automobile perchè il prezzo della benzina è quattro volte più alto di quanto fosse prima dell’Iraq, state pagando un prezzo per questa guerra”, ha detto Obama. In realtà, al di là di questa associazione tra Iraq e crisi economica, il Senatore dell’Illinois non ha fornito dettagli del proprio ipotetico piano d’intervento più sostanziali di quelli da lui descritti fin’ora o di quelli riportati sul suo sito web a proposito della riforma della sanità pubblica e di sgravi fiscali per le famiglie a basso reddito.

Giovedì, invece, Barack Obama è tornato sul tema più aggressivamente, parlando alla Cooper Union a New York. “Non credo che il governo debba bloccare l’innovazione, o cercare di tornare indietro nel tempo ad un era di regolamentazioni eccessive. Però credo che debba giocare un ruolo nell’assicurare che la nostra prosperità comune prosegua nella sua espansione”, ha detto il Senatore dell’Illinois. Obama ha ripetuto il proprio impegno per un’espansione di 10 miliardi di dollari di un programma esistente di finanziamento dei mutui per la prima casa che offre tassi d’interesse al di sotto del valore di mercato, e per la creazione di un fondo per altri 10 miliardi di dollari per cercare di prevenire una parte delle insolvenze. Obama ha concluso elencando i sei punti del proprio programma economico; innanzitutto il governo deve poter esercitare un controllo maggiore su quelle istituzioni finanziarie che decidono di prendere in prestito fondi della Federal Reserve. È inoltre necessaria una riforma generale del funzionamento della finanza. Obama ha detto anche di voler snellire l’apparato burocratico incaricato di monitorare i mercati in modo da renderlo più efficiente, e di voler implementare riforme che prendano in considerazione i cambiamenti avvenuti in questo settore e che dunque siano applicabili a tutti gli attori coinvolti nei prestiti e nei mutui, vecchi o nuovi che siano. Infine Obama ha sottolineato l’importanza di combattere la speculazione irresponsabile e di fare una politica volta ad anticipare i rischi sistemici prima che si abbattano sui mercati.

Hillary Clinton ha parlato di economia martedì, in un discorso tenuto a University of Pennsylvania a Philadelphia. La Senatrice dello Stato di New York, anzichè concentrarsi su quello che farebbe lei dal prossimo gennaio dovesse vincere le elezioni di novembre, ha elencato le misure che il Congresso e l’Amministrazione Bush dovrebbero mettere in pratica ora, per evitare che la crisi continui ad allagargarsi. La ex-first lady ha chiesto alla Camera e al Senato di sottoscrivere il passaggio di 30 miliardi di dollari dalle casse federali a quelle statali per aiutare le comunità più afflitte a mitigare il numero di insolvenze sui mutui subprime. Clinton ha anche proposto l’idea di nominare Alan Greenspan e Paul A. Volcker, due ex-Presidenti della Federal Reserve, assieme all’ex-Ministro del Tesoro Robert E. Rubin, alla guida di un “gruppo di studio d’emergenza di alto livello”, che sia incaricato di analizzare le cause della crisi e proponga una strategia di ristrutturazione e rifinanziamento dei mutui a rischio. Il discorso della Senatrice di New York, scrivono Amy Chozick e Nick Timiraos del Wall Street Journal, “la espone alle critiche di chi pensa che Clinton stia delineando un piano per salvare i debitori irresponsabili finanziato con i contributi fiscali del resto degli americani”.

Così come Barack Obama, anche Clinton è tornata sulla propria strategia economica giovedì, parlando in North Carolina ad un’ora sola di distanza dal Senatore dell’Illinois che invece si trovava a New York. Per l’occasione l’ex-first lady ha presentato al pubblico di Raleigh un piano quinquennale da 12,5 miliardi di dollari per finanziare programmi di aggiornamento della forza lavoro. La Senatrice ha anche detto di voler garantire mutui per studenti universitari a tassi d’interesse minori di quelli attuali. Spostandosi dalle problematiche urgenti poste dalla crisi, Clinton ha voluto enfatizzare la propria visione complessiva dell’economia americana e la propria volontà di portare riforme volte ad avvantaggiare la classe media e i lavoratori.

John McCain, nonostante continui a fare della politica estera il punto forte della propria candidatura, ha finalmente accettato di trattare temi economici parlando marterdì ad un convegno di piccoli industriali ispanici tenutosi a Santa Ana, nei pressi di Los Angeles. Secondo il New York Times, il candidato repubblicano alla Presidenza non ha offerto alcuna proposta nuova per mitigare le difficoltà economiche che hanno travolto il paese, ma ha semplicemente indicato la disponibilità a prendere in considerazione un intervento del governo che sia temporaneo. “Sono sempre stato convinto del principio che non è responsabilità del governo di intervenire per salvare, e di conseguenza premiare, quegli attori che agiscono in maniera irresponsabile, che si tratti di grandi banche o di piccoli debitori”, ha dichiarato il Senatore dell’Arizona. In sostanza, John McCain si è concentrato su ciò che il governo non dovrebbe fare più che sulle misure che andrebbero prese. “La politica economica dovrebbe seguire un percorso di responsabilità finanziaria, obbligando coloro che firmano un mutuo a versare un anticipo adeguato sul valore dell’immobile che intendono acquistare. Di conseguenza sono contrario all’idea di diminuire il valore percentuale di tale anticipo”.

In questo senso, John McCain parrebbe essere rimasto l’ultimo negli Stati Uniti a difendere l’idea di un ruolo limitato del governo negli affari economici della nazione. Travolto dalla recessione, il paese pare attraversare un momento di riflessione politica e filosofica. Persino il Wall Street Journal, il bastione del capitalismo americano, ha cominciato a pubblicare una serie di articoli che trattano di problemi legati all'assenza di regolamentazioni serie dei mercati. In un pezzo di Elizabeth Williamson uscito lunedì, ad esempio, si parla di come i venti politici a Washington stiano girando, dopo quasi trent'anni, dall'approccio estremamente liberale lanciato da Ronald Reagan agli inizi degli anni ottanta ad una politica che vede un ruolo assai più centrale per il governo nel controllo degli scambi di mercato. E questo cambiamento nell'atmosfera politica della capitale americana sembrerebbe essere bipartisan, condiviso sia dai democratici che dai repubblicani. L’ultimo esempio di questa tendenza, che pare influenzare l’attuale Amministrazione, è il discorso fatto giovedì alla Camera di Commercio statunitense dal Ministro del Tesoro Henry Paulson, che ha dichiarato necessario che la Federal Reserve eserciti maggior controllo sulle banche di investimento che le si rivolgono per prestiti, imponendo mggiore trasparenza sulle transazioni condotte da tali enti.
Considerato che molti osservatori sono convinti che la crisi finanziaria sia soltanto agli inizi, visto che la borsa di New York sta scambiando a livelli di prezzo equivalenti al 1999 (aggiustati all’inflazione) e che l’indice di 500 titoli di Standard & Poor rappresenta, secondo i dati della società di ricerca e analisi economica Morningstar, l’investimento peggiore tra nove registrati sull’arco di tempo dei nove anni (avendo prodotto profitti minori dei mercati delle merci, degli immobiliari, dell’oro, dei titoli stranieri e persino dei buoni del tesoro), e dato infine che, a meno di interventi radicali, i fondi per il finanziamento dei programmi pensionistici e assistenza sanitaria per i meno abbienti si esauriranno rispettivamente nel 2041 e nel 2019, gli americani hanno davanti a sè una lunga strada per arrivare a riassestare le finanze nazionali. Le risposte dei candidati alla Presidenza paiono insufficienti, e sembrano rimanere indietro rispetto alle richieste di un intervento governativo più sostanziale che provengono in questi giorni da ogni angolo del paese. Contemporaneamente, spinti dalla competizione dell’uno con l’altro, Clinton, Obama in particolare, ma anche McCain, stanno cominciando a fornire risposte sempre più concrete al pubblico americano.

Valentina Pasquali

giovedì 27 marzo 2008

Clinton espone il proprio programma economico in North Carolina

Hillary Clinton ha esposto il proprio programma economico, rivolto alla classe media e ai lavoratori, in un discorso fatto giovedi' a Raleigh in North Carolina.

Obama sulle possibili soluzioni sulla crisi dei mercati finanziari

Il candidato alla nomination democratica Barack Obama ha parlato giovedi' alla Cooper Union di New York, esponendo il proprio programma economico ed elencando le misure che ritiene necessarie per far fronte alla crisi dei mercati finanziari causata dal crollo dei prezzi degli immobiliari e dalle insolvenze sui mutui subprime. Qui il testo del discorso.

La reazione dell'elettorato ai discorsi del Reverendo Wright

Media Curves, una societa' di ricerca sui media, ha trasmesso degli spezzoni dei sermoni del Reverendo Wright, mentore spirituale di Barack Obama, per un pubblico di 799 democratici, indipendenti e repubblicani, e ne ha registrato le reazioni. Guardate il video, e notate come le curve che rappresentano graficamente le impressioni dell'audience di elettori si spostano a seconda delle affermazioni di Wright.

mercoledì 26 marzo 2008

La politica estera di John McCain

Mentre i candidati alla nomination democratica Hillary Clinton e Barack Obama dibattono di economia e delle possibili cure alla crisi economica del paese, John McCain offre la propria visione quanto alla politica estera in un discorso fatto a Los Angeles, ospitato dalla sezione locale del World Affairs Council. McCain racconta del proprio passato e del prezzo che la guerra, dalla seconda guerra mondiale alla guerra del Vietnam, ha inflitto alla propria famiglia di militari. E nonostante questo, McCain rinnova l'impegno a rimanere in Iraq e a perseguire una politica estera che attivamente - e aggressivamente - protegga gli interessi e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Va detto che McCain ha anche concesso qualche apertura ad un approccio multilaterale alle relazioni internazionali. Il testo completo del discorso puo' essere letto qui. (Sfortunatamente, il video - di proprieta' del network televisivo C-Span - puo' essere visto nella sua interezza solo copiando e incollando in un'altra finestra del browser il link riportato nell'immagine all'inizio di questo post).

Indovina chi viene a cena

Quattro fortunati tra i tanti americani che hanno scelto di donare piccole somme di denaro alla campagna di Barack Obama (i contributi dei singoli cittadini, e non le tradizionali donazioni dell'industria, rappresentano il punto di forza del finanziamento della campagna del Senatore dell'Illinois quest'anno), saranno estratti a sorte per cenare privatamente con il candidato alla nomination democratica. La cena sara' offerta da Obama, cosi' come i biglietti aerei che saranno necessari per permettere ai vincitori di raggiungere il luogo in cui si terra' l'incontro. Questo e' il video in cui lo stesso Obama parla dell'iniziativa. La scadenza per donare, e quindi essere presi in considerazione per l'estrazione, e' la mezzanotte del 31 marzo.

martedì 25 marzo 2008

McCain affronta il tema dell'economia in un discorso in California

Il candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti, John McCain, ha accettato di trattare oggi, per la prima volta in maniera estesa, problemi relativi all'economia e alla crisi dei mercati immobiliari e finanziari in un discorso fatto ad un convegno di piccoli imprenditori a Santa Ana, nei pressi di Los Angeles. Secondo il New York Times, McCain non ha offerto alcuna proposta nuova e concreta per mitigare le difficolta' economiche che hanno travolto il paese, ma ha semplicemente indicato la disponibilita' a prendere in considerazione un intervento del governo che sia strettamente temporaneo. Questo il testo del discorso di McCain.

Clinton lancia il primo spot in Pennsylvania

Hillary Clinton ha dato il via alla distribuzione del primo spot televisivo da trasmettersi nello stato della Pennsylvania, il prossimo ad andare alle urne il 22 aprile. La pubblicita' e' una rivisitazione quasi identica di un'altra gia' mandata in onda in Ohio per le primarie del 4 marzo scorso, vinte con successo dalla Senatrice da New York. Lo spot mette in evidenza un messaggio tendente al populismo elettorale, con la ex-first lady che si rivolge alla classe dei lavoratori nello stato delle acciaierie di Pittsburgh promettendo riforme fiscali che premino la classe media colpita dalla crisi economica in corso.

La CBS smentisce Hillary





La CBS diffonde il filmato che smentisce Hillary Clinton: nel 1996 durante la sua visita a Tusla(Bosnia), non fu accolta da pallottole. La candidata democratica infatti, in un comizio di pochi giorni fa, aveva riferito che durante quella missione "aveva dovuto correre a testa bassa per evitare il fuoco dei cecchini". Già sbugiardata dal Washington Post, arriva oggi il video della CBS.

giovedì 20 marzo 2008

Obama parla di economia in West Virginia

Barack Obama parla del legame causale tra i costi della guerra in Iraq e la crisi economica in corso negli Stati Uniti in un discorso tenuto a University of Charleston in West Virginia, stato in cui si terranno le primarie il prossimo 13 maggio. Obama ha anche ripetuto i punti forti del suo programma economico, dagli sgravi fiscali per le famiglie a basso reddito, a quelli per gli studenti che si iscrivono all'universita', ai progetti per rendere l'assicurazione sanitaria meno costosa e alla portata di tutti.

I fallimenti della politica

(da CFP NEWS Anno 4 Numero 120 – 21 marzo 2008)

di Fabrizio Tonello

La crisi finanziaria negli Stati Uniti, di cui abbiamo visto solo l’inizio, non è un fallimento della più grande economia mondiale, è piuttosto un fallimento della politica, un’evasione dalle responsabilità che giustifica ampiamente la profonda sfiducia dei cittadini americani nei loro rappresentanti: solo il 13% è convinto che il Congresso stia facendo un buon lavoro. E il fallimento del Congresso a maggioranza democratica, assieme a quello dell’amministrazione Bush, sta tutto nella fede quasi religiosa per la capacità dei mercati di autoregolarsi. Un vecchio detto inglese afferma che “Dio protegge i bambini, i pazzi e gli Stati Uniti d’America”: come talvolta gli accade, Dio è stato un po’ distratto dal 2000 ad oggi. Certo, i mercati, nel lungo periodo si autoregolano, se però nel mezzo qualche decina di milioni di persone soffrono e muoiono questo può essere indifferente solo a chi è accecato dall’ideologia.
A fare il riassunto più conciso ed efficace delle origini della crisi è stato lo Wall Street Journal, la cui fede nei mercati è iscritta nella testata del giornale, ma che ha ancora cronisti capaci di scavare nei dettagli delle scelte che hanno condotto alla situazione attuale. Prima scelta dell’amministrazione Bush: fare degli Stati Uniti una “nazione di proprietari” di case. Nulla da dire, salvo il fatto che le famiglie americane sono le più indebitate del mondo (che significa “società dei consumi”?). Se il signor Smith ha dieci carte di credito e ogni mese paga il conto della prima aumentando il debito sulla seconda, e così via, le banche guardano alla sua storia creditizia personale e gli dicono “ripassi fra qualche anno”.
O meglio, gli dicevano così. A partire dal 2001, la Casa Bianca incoraggia le banche e le agenzie semigovernative ad allargare i cordoni della borsa, senza che il Congresso a maggioranza repubblicana trovi nulla da obiettare. Si diffondono così i mutui subprime, un termine che designa i prestiti a persone che sono “sotto” il prime, cioè le condizioni normali richieste per concedere il credito. In pratica: se il solito signor Smith ha uno stipendio di 1.000 dollari al mese e vuole comprarsi una casa con un mutuo che gli costerebbe 900, la banca invece di chiedergli poi come campa, ragiona così: “Se non può pagare le rate, affari suoi: noi ci riprendiamo la casa”.
E’ quello che adesso viene definito predatory lending, cioè l’offerta di prestiti (spesso a persone anziane, in difficoltà, di educazione modesta) a condizioni apparentemente vantaggiose, con in mente proprio l’obiettivo di impadronirsi di beni immobiliari di valore molto superiore. Per es., molte finanziarie offrivano prestiti al consumo o mutui allo “0%” senza rivelare chiaramente che questo era per i primi sei mesi, poi il tasso sarebbe passato al 10% o magari al 20%. La bolla speculativa nell’immobiliare, con l’aumento rapido e continuo del valore delle case, offriva enorme spazio a speculazioni di questo tipo (perché, a loro volta, i debitori pensavano di poter vendere la casa per un prezzo superiore al valore del debito).
Il bel giocattolo si è sviluppato nella benevola indifferenza delle autorità bancarie, del ministero del Tesoro e del Congresso, che hanno permesso una rapida espansione di quella che l’economista Paul Krugman ha definito le “aree grige della finanza”, attività non regolamentate in cui si era specializzata proprio la Bear Stearns, una banca d’investimento il cui valore di Borsa, grazie a queste pratiche, aveva toccato quota 20 miliardi di dollari. Un grafico dello Wall Street Journal dice tutto: se nel 2002 i mutui anomali erano appena il 6,9% del totale, nel 2004 erano diventati il 18,2% e nel 2006 il 20,1%.
Poi il giocattolo si è rotto: apparentemente nessuno aveva pensato che la tragedia di milioni di americani che stavano perdendo la casa avrebbe provocato un ovvio contraccolpo: i prezzi delle case non potevano che scendere perché centinaia di migliaia di immobili pignorati facevano crescere lo stock in vendita. Molte di queste case erano poi in cattive condizioni, o in quartieri a rischio, dove nessuno voleva comprarle, deprimendo ulteriormente il mercato.
Questo sarebbe stato grave ma non ancora catastrofico: il contagio all’intero settore finanziario è avvenuto a causa di un’altro fallimento della regolazione politica, quello relativo alla creazione di obbligazioni basate proprio sui mutui. I due enti privati (ma di origine pubblica) soprannominati Freddie Mac e Freddie Mae, nati per fare proprio questo, sono diventati più audaci nel gestire questi prodotti finanziari e sono stati affiancati da migliaia di creativi operatori che hanno disperso il rischio mutui tra milioni di acquirenti delle obbligazioni, le cui formule erano spesso incomprensibili (e a nessuno importava granché capirle, fino a che i mercati salivano). Così, non solo le banche americane ma anche il Crédit Suisse e altre banche europee, si sono trovati in portafoglio obbligazioni “garantite” magari da case distrutte dall’uragano Katrina del 2005. Se oggi, nonostante gli interventi della Federal Reserve, il sistema finanziario americano resta gravemente ammalato è perché le autorità politiche, e perfino i tre candidati alla presidenza, sono mute, incapaci di offrire soluzioni alla crisi affrontando le tendenze autodistruttive dei mercati non regolamentati in un’ottica di lungo periodo. La Bear Stearns è stata ceduta a un prezzo puramente simbolico e, senza un’azione incisiva che ripristini la fiducia degli operatori, nessuno dubita che altre banche crolleranno.

Il tabù della recessione

(da CFP News - Anno 4 Numero 120 - 21 marzo 2008)

di Valentina Pasquali - Washington DC

Gli Stati Uniti stanno scivolando in una recessione economica come non si vedeva da decenni. Gli esperti ed il pubblico americano mostrano segni crescenti di preoccupazione per il rallentamento dell’economia che continua inarrestabile, nonostante la serie di interventi d’urgenza delle istituzioni finanziarie e del governo. Eppure i candidati in corsa per le presidenziali 2008 appaiono inspiegabilmente restii ad affrontare seriamente i temi della crisi. Parlare di recessione, uno degli spettri più temuti dalla società americana fondata sulla crescita costante dei consumi, non è considerata una buona strategia elettorale.
La conseguenza più eclatante della crisi, cominciata quando la bolla speculativa che aveva causato il boom del mercato immobiliare è scoppiata tra il 2006 e il 2007, è che l’anno scorso circa 1 milione e 300 mila abitazioni sono tornate nelle mani delle banche, il 79% in più rispetto al 2006, a causa del mancato pagamento delle rate del mutuo da parte dei proprietari indebitati. Il Ministro del Tesoro americano Henry Paulson ha dichiarato il 3 marzo che questo numero potrebbe raggiungere i 2 milioni nel 2008 e che i prezzi, già scesi del 9% nelle maggiori aree metropolitane, scenderanno ancora.
Gli effetti del crollo del mercato immobiliare hanno avuto ripercussioni immediate sugli altri settori dell’economia. L’indice dei prezzi al consumatore è cresciuto dello 0,3% in febbraio, e l’inflazione negli ultimi 12 mesi è stata del 4%. Le vendite dirette al consumatore sono anch’esse in calo. In febbraio sono scese dello 0.6%, la seconda diminuzione in tre mesi, un’indicazione che, come scrive il Wall Street Journal, “un pilastro dell’economia, ovvero i consumi, è in difficoltà”. In calo infine anche la produzione industriale, dello 0,5% in febbraio.
La Federal Reserve è intervenuta tagliando ripetutamente i principali tassi d’interesse (Federal funds rate e Discount rate) a partire dal luglio scorso, nella speranza di iniettare liquidità nei mercati finanziari, diminuendo il costo del denaro. Martedì la banca centrale americana ha abbassato per l’ennesima volta il Federal funds rate (il tasso d’interesse calcolato sulle transazioni inter-bancarie), portandolo al 2,25% dal 3% precedente. È il taglio più cospicuo mai effettuato dalla Fed dal 1994, anno in cui ha cominciato a rendere pubbliche le proprie decisioni in termini di politica monetaria.
Il 13 febbraio, il Presidente Bush ha firmato un pacchetto di stimolo economico per 168 miliardi di dollari, anche se per il momento non si è reso disponibile ad approvare altre misure nonostante le pressioni del Congresso. L’Amministrazione Bush è preoccupata che ulteriori interventi richiedano un’innalzamento delle tasse, a cui l’attuale Presidenza è naturalmente contraria.
Nonostante i tentativi di Governo, Congresso e Banca Centrale di arrestare la crisi, il mercato non dà segnali di ripresa e il dollaro è in continuo calo. L’Euro ha toccato un nuovo massimo storico martedì, scambiato per 1.59 bigliettoni verdi.
Gli esperti statunitensi hanno cominciato di recente a chiamare la crisi con il nome giusto. In un sondaggio telefonico condotto dal Wall Street Journal tra il 7 e l’11 marzo, 36 dei 51 economisti contattati, ovvero oltre il 70%, si sono detti d’accordo che l’economia americana è già entrata in una fase di recessione, e non sta semplicemente attraversando una crisi passeggera. Più della metà degli intervistati ritiene inoltre che la situazione quest’anno si rivelerà peggiore di quella del 2001 e del 1990-1991.
Gallup ha pubblicato mercoledì 19 marzo i risultati dell’ultimo rilevamento effettuato sull’opinione del pubblico americano riguardo allo stato dell’economia nazionale. Il 76% degli intervistati si è detto convinto che gli Stati Uniti sono già in recessione. Nell’ottobre 2007 solo il 36% della popolazione la pensava a questa maniera. In un altro sondaggio, effettuato il 13 marzo, Gallup ha trovato che l’86% degli americani credono che le condizioni economiche stiano peggiorando di giorno in giorno. Di conseguenza, il 35% degli intervistati vede ora l’economia come il problema più importante, quasi il doppio del 18% registrato solo in gennaio.
Nonostante la situazione appaia ormai critica ai più, sembra esserci tra i candidati alla presidenza un imbarazzo diffuso nel parlare apertamente di recessione. John McCain, dell’economia quasi non parla, sperando di essere giudicato dagli elettori americani quasi esclusivamente sugli sviluppi dell’occupazione militare dell’Iraq. Anche i candidati alla nomination democratica, Hillary Clinton e Barack Obama, nonostante abbiano un approccio più deciso nell’affrontare temi di politica economica del loro rivale repubblicano, invece che proporre un programma coerente per uscire dalla recessione e riformare l’economia, si limitano ad attaccare NAFTA (North American Free Trade Agreement) come fosse la causa di tutti i problemi americani. Nessuno dei due ha ancora ufficializzato una propria strategia per affrontare la crisi che ha ormai infettato i mercati finanziari, come se sperassero che se ne vada da sola, o grazie agli interventi della Federal Reserve.
Valentina Pasquali

Chi c'è dietro il video anti-Obama?



In quattro giorni, questo video di propaganda anti-Obama, che mescola inquadrature del candidato con frammenti di sermoni del reverendo Jeremiah Wright, ha raccolto 40.000 contatti su You Tube. E' l'opera di un attivista repubblicano, Lee Habeeb, un dirigente del gruppo radiofonico ultraconservatoe Salem Radio Network

Quando Obama ammoniva Wall Street



Rimettiamo in prima pagina questo discorso di Barack Obama (solo il sound) a una audience di banchieri ed economisti, tenuto il 17 settembre 2007. E' uno dei rari discorsi di Obama e Clinton sul tema della crescita delle disuguaglianze in America.

mercoledì 19 marzo 2008

RELIGIONE E POLITICA: KENNEDY



Il discorso di Barack Obama (video qui sotto) era stato provocato dalle osservazioni di Jeremiah Wright, il pastore della chiesa di Chicago a cui appartiene, giudicate "antiamericane" da molti commentatori. La pressione sui candidati alla presidenza perché prendano le distanze dai loro leader religiosi è un fenomeno tutt'altro che nuovo negli Stati Uniti, come prova questo video del 12 settembre 1960 a Houston di John F. Kennedy, sospetto in quanto candidato cattolico e non protestante.

martedì 18 marzo 2008

Obama a Philadelphia: "Sono qui per via di Ashley"



Washington DC - In un discorso che in molti gia' considerano di rilevanza storica, il candidato alla nomination democratica Barack Obama ha deciso di affrontare apertamente questa mattina, per la prima volta dall'inizio della propria campagna elettorale, il tema della razza e delle divisioni etniche che attraversano gli Stati Uniti.
Parlando alla Constitution Hall di Philadelphia, costruita dall'altra parte della strada rispetto al luogo in cui 221 anni fa fu firmata la Costituzione degli Stati Uniti, Obama ha deciso di rispondere alle accuse rivoltegli negli ultimi giorni a causa del suo legame con il Reverendo Jeremiah Wright, capo della parrocchia Trinity (appartenente alla United Church of Christ), situata nella zona a sud di Chicago e frequentata dal Senatore dell'Illinois regolarmente. Wright e' conosciuto per alcune posizioni controverse espresse a riguardo della condizione dei neri, al razzismo profondo, intrinseco ed immutabile che caratterizza la societa' americana, e per conseguenti dichiarazioni fatte in merito al terrorismo internazionale, che sarebbe causato, nell'opinione del Reverendo, da Israele.
Rivolgendosi ad un audience di sole duecento persone, per lo piu' politici, notabili locali e giornalisti, Obama non solo si e' difeso, prendendo le distanze dalle posizioni piu' radicali del proprio pastore e condannandole come pericolose, ma ha anche sferratto il proprio attacco retorico all'ipocrisia di un paese che si nasconde dietro le divisioni etniche per evitare di affrontare le crescenti disuguaglianze economiche e di classe che ne stanno facendo sempre piu' una nazione di ricchi e poveri.
Obama ha invitato a non ignorare i conflitti razziali, bensi' ad affrontarli apertamente ed onestamente in modo da non dimenticare la storia di segregazione che ha fondato questo paese. Il candidato alla nomination democratica pero' si e' spinto oltre, ricordando all'audience del Constitution Center del simbolismo che la propria candidatura vuole rappresentare, con questo politico figlio di un uomo kenyano e di una donna bianca del Kansas, cresciuto in Indonesia e alle Hawaii, educato nelle piu' prestigiose universita' del paese e a lungo residente di uno dei quartieri piu' poveri d'America nel South Side di Chicago.
Figlio dell'America multietnica, Obama ha detto; "Questa volta vogliamo parlare delle scuole che cadono a pezzi e che stanno portandosi via il futuro dei bambini afro-americani, cosi' come di quelli bianchi, di quelli asiatici, di quelli ispanici e di quelli indiani-americani. Questa volta vogliamo parlare delle code al Pronto Soccorso, che sono piene di bianchi, neri e ispanici che non si possono permettere l'assicurazione sanitaria, che non hanno il potere sufficiente a combattere da soli gli interessi delle lobby di Washington, ma che possono farcela se uniamo tutti le nostre forze. Questa volta vogliamo parlare di tutte quelle industrie che una volta garantivano un livello di vita degno a uomini e donne di tutte le razze, e delle case oggi in vendita che appartenevano un tempo ad Americani di ogni credo religioso...Questa volta vogliamo parlare degli uomini e delle donne di ogni colore e fede che servono insieme, combattono insieme, e vengono feriti insieme sotto la stessa orgogliosa bandiera. Vogliamo parlare di come portarli a casa da una guerra che non sarebbe mai dovuta essere autorizzata..."
Barack Obama ha concluso il suo discorso a Philadelphia raccontando la storia di una lavoratrice della propria campagna di nome Ashley, che da bambina per un anno si autosacrifico' mangiando senape e sott'aceti per aiutare la madre malata di cancro, e senza assicurazione sanitaria, a risparmiare i soldi necessari a pagare di tasca propria le costosissime cure. Oggi, a ventitre' anni, Ashley lavora per Barack Obama in South Carolina con la speranza di poter aiutare i milioni di bambini che vorebbero aiutare i proprio genitori a guarire dalle malattie che li affliggono. "Ashley avrebbe potuto fare scelte diverse", Obama ha detto. "Qualcuno le avra' suggerito, nel corso della sua vita, che la colpa dei problemi della sua mamma era dei neri che ricevevano il sussidio di disoccupazione ed erano troppo pigri per cercarsi un lavoro, o degli ispanici che arrivavano nel paese illegalmente. Ashley non li ha ascoltati. Invece ha cercato un'alleanza di tutti nella sua battaglia contro l'ingiustizia".

A questo link il testo completo del discorso di Obama alla Constitution Hall di Philadelphia. Vale la pena di leggerlo nella sua versione integrale: http://my.barackobama.com/page/community/post/samgrahamfelsen/gGBbKG

Bill Moyers discute la crisi finanziaria



L'ex consigliere di Lyndon Johnson, direttore di giornali e commentatore televisivo discute le origini lontane della crisi dei mutui.

lunedì 17 marzo 2008

LA POLITICA E INTERNET



In queste elezioni si discute molto seriamente del ruolo dei blog, delle comunità virtuali e di altre forme di comunicazione via internet come strumenti di partecipazione politica.

domenica 16 marzo 2008

McCain difende Obama




Intervistato da Fox News, McCain difende Obama e sminuisce la polemica nata dalle dichiarazioni razziste del consigliere spirituale del senatore nero.

venerdì 14 marzo 2008

Caso Spitzer e Accountability

(da CFP NEWS Anno 4 Numero 119 – 14 marzo 2008)

di Fabrizio Tonello

C’è qualcosa di profondamente diseducativo nel tono palesemente divertito di buona parte della stampa italiana (ma anche francese e spagnola) per il caso del governatore di New York Eliot Spitzer, che si è dimesso dopo che era stato reso pubblico un suo incontro con una prostituta d’alto bordo. Per l’ennesima volta si parla di “scandalo sessuale” quando in realtà si tratta di uno scandalo politico: il problema non è la conoscenza carnale ma il legame di fiducia con gli elettori. Certo, nella logica della politica americana è più frequente essere costretti alle dimissioni per un episodio piccante che per aver invaso un Paese straniero, ma ciò non toglie che la moralità politica, negli Stati Uniti, sia cento volte migliore di quella italiana.
Come potete vedere dal video della conferenza stampa l'etica del servizio pubblico è così forte che il semplice sospetto di aver deluso le aspettative dei cittadini è stato sufficiente per spingere Spitzer (governatore di un grande Stato a soli 49 anni, una delle stelle in ascesa del partito democratico) verso le dimissioni. "Avete mai sentito parlare della separazione tra pubblico e privato?" ironizzano i giornalisti, senza capire l’essenza della cultura politica repubblicana degli Stati Uniti: accountability. Spitzer ha sottolineato: “Nel corso della mia vita pubblica ho sempre insistito perché tutti, qualsiasi sia il potere o la responsabilità di cui godono, si assumano le responsabilità delle loro azioni. Non posso, e non voglio, comportarmi diversamente”.
Questa è l’idea che sta dietro gli scandali, le richieste di impeachment, le indagini della polizia e della magistratura. Spitzer non ha pensato per un attimo di essere immune dalle inchieste sul giro di prostituzione di Washington, né ha gridato al complotto politico della magistratura. Ancora una volta, la soluzione americana al mantenimento di uno standard di public integrity è una sola: la trasparenza. E, naturalmente, il fatto che sono i giudici ad avere l'ultima parola.
Il feroce controllo dei media sulla moralità pubblica può apparire bigotto, o ridicolo, ma se guardassimo il bicchiere mezzo pieno, invece che mezzo vuoto? La democrazia americana trae vantaggio o no dal fatto che deputati e senatori sono oggetto di indagini, intercettazioni telefoniche e perfino arresti senza che nessuno abbia alcunché da obiettare? La polizia e le procure, sottoposte a uno stretto controllo da parte della stampa, non sono riuscite a impedire mille scandali, ma certamente rafforzano la fiducia dei cittadini nel fatto che “La legge è uguale per tutti”. In democrazia, il fatto che i giornali e la classe politica siano unanimi nell'esigere le dimissioni di chi si fa cogliere con le mani nel sacco (o nelle mutandine di una donna che non è la moglie) è uno svantaggio? Il Congresso americano, dal punto di vista etico, è una fogna, ma gli anticorpi funzionano, rafforzando il senso di appartenenza dei cittadini. Noi ci divertiamo con Mastella e con le foto di Berlusconi assieme alle sue girls in Sardegna: la differenza sta tutta qui.


L’altra America

(da CFP NEWS Anno 4 Numero 119 – 14 marzo 2008)

di Valentina Pasquali - Washington, DC.

Washington DC – L’America del 2008 non è un Paese fatto solo di volontari che si dedicano appassionatamente alle campagne di Hillary Clinton e di Barack Obama. Negli Stati Uniti di oggi ci sono anche i milioni di cittadini che chiedono che l’aborto torni ad essere illegale, che temono la pedofilia più della guerra in Iraq, che non credono nella crisi economica, e che sognano un governo il meno interventista possibile.
"Sei davvero italiana?" mi chiede perplesso il mio vicino di posto sul volo 0745 della United Airlines che mi porta da Denver, in Colorado, a Portland, nell’Oregon. "Io sono francese; il mio cognome è L'Enfant", mi dice con aria ironica. In realtà a Tim L'Enfant di francese gli è rimasto poco, il cognome è l'ultima traccia dell'eredità europea ricevuta da antenati lontani (chissà se è parente di Pierre-Charles L’Enfant, che nel 1791 disegnò la nuova capitale federale, poi battezzata Washington). Tim è originario del Nebraska, uno stato di praterie nell’Ovest, famoso solo per le fattorie e per aver inventato lo scuolabus color giallo che si vede in tutta l’America (e anche nei cartoni animati).
“Ci sono cose che personalmente non capisco", continua Tim, desideroso di fare conversazione. “Ad esempio, io sono convinto che l'educazione universitaria non sia un diritto, bensi' un privilegio. Una famiglia deve fare dei sacrifici per meritarsela. Io ho cominciato a mettere da parte soldi quando sono nati i miei figli. E, se siamo fortunati, dovrei riuscirli a mandare tutti all'universita,” mi spiega mentre beve in un sorso la prima birra del volo. "Poi ci sono questi candidati che promettono di offrire sgravi fiscali a tutti quelli che vogliono andare all'università, una cosa incredibile". Un sondaggio condotto nel febbraio/marzo 2007 dalla Hoover Institution di Stanford University e dal Centro di Ricerca sulle Politiche Educative di Harvard University, rivela che solo il 51% degli americani intervistati è favorevole ad un aumento della spesa pubblica per l’istruzione.
Tim L’Enfant è un signore di circa cinquant'anni, è impiegato nel reparto amministrativo/informatico del Ministero per gli Affari dei Veterani di Guerra, e deve recarsi a Washington DC per lavoro almeno un paio di volte al mese. Si è trasferito dal Nebraska in Oregon vent'anni fà per ragioni lavorative e familiari. Ora è divorziato e ha due figli. "Le primarie democratiche sono divertenti quest'anno, Clinton e Obama si stanno massacrando l'un l'altro", Tim continua passando all'attualità politica del paese. "Guarda te lo dico io, e lo so che è la prima volta che lo senti, ma Clinton vince sicuro la nomination democratica quest'anno. Comunque sono tutti dei liberal", il mio compagno di viaggio prosegue indignato. Il termine liberal viene usato dai conservatori americani solo in senso dispregiativo, un po’ come la destra italiana usa l’aggettivo comunista.
Chiedo a Tim cosa pensa del candidato del partito repubblicano, John McCain; "Andrò comunque a votare in novembre, e voterò per lui. Però anche McCain è un liberal." Il fatto che l’ala più conservatrice della destra americana non veda di buon occhio il Senatore dell’Arizona è uno dei temi chiave della corsa alla Casa Bianca e sarà, nella campagna per le elezioni generali di novembre, tra gli ostacoli principali per John McCain, che dovrà rinconquistare il sostegno della base di partito senza perdere l’approvazione dei repubblicani moderati e degli indipendenti.
Neanche il Presidente George Bush piace troppo a L’Enfant. Però una cosa buona pare averla fatta: "Bush ha nominato due giudici conservatori alla Corte Suprema (il presidente John Roberts e Samuel Alito)", mi dice Tim. Negli Stati Uniti, quando qualcuno esprime un giudizio sulla Corte, significa che sta implicitamente facendo riferimento al caso Roe v. Wade, che nel 1973 rese costituzionalmente protetto il diritto della donna all’interruzione della gravidanza. "Allora vorresti che Roe v. Wade venisse rivisto?" gli chiedo. "Sì, io personalmente sono contrario all'aborto". In un sondaggio condotto dal Pew Research Center nel marzo 2006, il 34% degli intervistati si era dichiarato favorevole al passaggio di una legge nazionale che rendesse illegale l’aborto in ogni circostanza tranne nel caso in cui la madre fosse in pericolo di vita. L’approvazione di un intervento legislativo di questo genere rimane impossibile fino a che Roe v. Wade non verrà cancellata da una nuova sentenza della Corte Suprema. Per questo la destra religiosa americana è ossessionata dalle nomine presidenziali dei giudici: per gli effetti che potrebbero avere nel lungo periodo su temi cruciali.
Quando avrà finito di pagare l’università ai figli e potrà andare in pensione, Tim L'Enfant ha in programma di tornare a vivere in Nebraska. Per una ragione semplice, per quanto sorprendente: "La costa ovest degli Stati Uniti è ormai in mano ai tribunali liberal di San Francisco", mi racconta indignato mentre sorseggia la seconda birra e l'alito comincia a puzzargli d'alcol. "Dalla California all'Oregon allo Stato di Washington sono loro che dettano le leggi. Leggi che sono troppo tenere con i pedofili. Ormai ci sono pedofili dappertutto". Secondo Tim, la fissazione dei giudici californiani, e dei liberal in generale, con il carcere come strumento di rieducazione anzichè di punizione sta attirando ondate di pedofili verso la costa del Pacifico, dove corrono rischi minori nel caso vengano presi: "Le bambine non possono più andare a scuola da sole, non possono camminare per strada. Non si può vivere così".
In questo senso Tim è una vittima di quello che i sociologi chiamano “panico morale”, ovvero dell’esagerazione della gravità di una serie di atti individuali che vengono trasformati in tema politico e scatenano la ricerca di capri espiatori per dare sfogo a tensioni sociali originate da cause differenti. In un episodio della propria trasmissione televisiva del marzo 2007, Bill O’Reilly, uno dei più celebri e controversi opinionisti repubblicani, ha detto riferendosi alla pedofilia: “Non credo che sia il problema più grave che abbiamo, ma penso sia tra i primi tre. E mi sembra che la situazione stia peggiorando”.
Mentre i media si concentrano sullo scandalo sessuale che ha costretto alle dimissioni il governatore dello Stato di New York Eliott Spitzer e sulla lotta per la nomination democratica tra Clinton ed Obama, mezza America, come Tim L’Enfant, si preoccupa di tutt’altro: la pedofilia, il terrorismo, i giudici progressisti. E’ a quell’America che John McCain cerca di parlare per organizzare una campagna elettorale in grado di portarlo alla Casa Bianca nonostante questo sia un anno in cui tutto sembra favorire i democratici.

giovedì 13 marzo 2008

LE DIMISSIONI DI ELIOT SPITZER DA GOVERNATORE DELLO STATO DI NEW YORK

Obama risponde a Geraldine Ferraro




Obama risponde al pesante attacco razzista di Geraldine Ferraro

mercoledì 12 marzo 2008

La bambina nello spot di HILLARY CLINTON "Sono le 3 del mattino" è una sostenitrice di OBAMA

La risposta di Obama allo spot di Hillary "Sono le 3 del mattino"

Hillary Clinton: "Sono le 3 del mattino"

Commento al caso Ferraro - Obama




Keith Olberman di MSNBC commenta il duro attacco portato da Geraldine Ferraro a Obama ("Se non fosse stato nero, non avrebbe mai raggiunto quella posizione")

martedì 11 marzo 2008

Colloquio con Bill Richardson




In un incontro organizzato a Los Angeles dall' UCLA (Università di Los Angeles), Il governatore del New Mexico e candidato alla nomination democratica Bill Richardson, parla del suo ritiro, dei superdelegati e di chi eventualmente appoggerà.

lunedì 10 marzo 2008

Obama risponde all'invito di Clinton che gli offre la vice-Presidenza

Barack Obama a Jackson, Mississippi

Un ritmo latino per Obama



Michel Orozco, un californiano che produce video a sfondo educativo e non un musicista, ha scritto una canzone in spagnolo ispirata a Barack Obama, con l'intento di rendere noto il nome del Senatore dell'Illinois agli americani di origine ispanica.

venerdì 7 marzo 2008

Clinton v. Obama: il rompicapo democratico

(da CFP NEWS Anno 4 Numero 118 – 7 marzo 2008)

di Fabrizio Tonello

Fino a martedì mattina, la “storia dominante” sulla stampa indipendente americana era grosso modo questa: “Barack Obama è l’uomo nuovo, il Messia di questa stagione politica, la sua corsa verso la Casa Bianca è semplicemente inarrestabile”. Da giovedì, la nuova linea narrativa a cui sottoscrivono la maggior parte dei giornalisti è: “Hillary Clinton è una donna veramente tosta, ha dimostrato di essere in grado di risorgere, Obama è simpatico ma non è abbastanza duro per diventare Presidente”. Naturalmente, nessuna di queste due parabole dà conto di una realtà complessa e mutevole come quella della competizione per la nomination, del resto il compito del giornalismo moderno non è quello di dar conto dei fatti ma quello di intrattenere il suo pubblico (per un approfondimento, si veda qui).
Per capire cosa sta succedendo occorre prima di tutto guardare ai numeri e alle mappe politiche degli Stati Uniti. Cominciamo dai numeri: a causa del metodo proporzionale con cui sono eletti i delegati nel partito democratico, nessuno dei due candidati è in grado di arrivare alla fine della stagione delle primarie con una maggioranza autosufficiente. Gli ultimi conteggi prevedono che Obama avrà bisogno di 349 “superdelegati” per raggiungere il numero magico di 2.025. La Clinton dovrebbe ottenere il sostegno di circa 450 notabili e dirigenti del partito, da aggiungere ai delegati conquistati nelle primarie, per diventare il candidato democratico nella convention di Denver.
Le ragioni di questa strana situazione (normalmente, i candidati vincenti emergono abbastanza presto nella maratona elettorale attraverso i 50 Stati) sono due: prima di tutto Hillary e Obama sono candidati di forza quasi pari (hanno ottenuto circa 12 milioni di voti ciascuno nelle primarie svoltesi fin qui) ed entrambi hanno un sostegno vero in pezzi importanti dell’elettorato; in secondo luogo, la maggioranza di 2.025 è calcolata includendo i delegati di Michigan e Florida, due grossi Stati che insieme hanno 366 delegati. Questi ultimi sono stati esclusi perché hanno violato le regole stabilite dal Comitato Nazionale del partito sul calendario delle primarie e ora che la loro assenza peggiora il rompicapo democratico sono in corso frenetiche trattative per decidere cosa fare.
Due candidati senza una maggioranza chiara, entrambi con forti personalità e determinati ad andare fino in fondo, sarebbero una catastrofe politica in qualsiasi situazione, tanto più lo sono quest’anno, visto che i repubblicani hanno risolto il loro problema già l’altroieri, con il senatore dell’Arizona John McCain che ha superato la maggioranza dei delegati ed è così diventato il candidato ufficiale del partito.
A complicare ulteriormente la situazione sta il fatto che i profili dei due candidati, Clinton e Obama, rendono legittime due interpretazioni opposte della loro “eleggibilità” in novembre, che è la considerazione centrale nella mente dei leader del partito. Vincendo in Texas e in Ohio, dopo aver già ottenuto la maggioranza dei consensi in California, New York e New Jersey, Hillary Clinton può a buon diritto sostenere di essere il candidato democratico che vince nei grandi Stati, quelli decisivi per la coalizione democratica in novembre. Con una battuta evidentemente pensata in anticipo, dopo il risultato di martedì notte ha sottolineato che “nessun candidato democratico o repubblicano ha mai vinto la Presidenza senza aver vinto le primarie in Ohio” (ed è tanto vero che se John Kerry avesse avuto 120.000 voti in più lì, su 120 milioni di suffragi a livello nazionale, avrebbe battuto Bush già nel 2004). Una vittoria della Clinton in Pennsylvania il 22 aprile (dove sono in palio 158 delegati e i sondaggi la danno favorita) rafforzerebbe enormemente la sua tesi.
Dal canto suo, Barack Obama incarna la strategia della sinistra del partito, che non vuole limitarsi a consolidare il tradizionale (e spesso perdente) blocco democratico, ma vuole parlare agli elettori di tutti i 50 Stati e convincerli che i repubblicani hanno portato l’America sull’orlo del disastro. Le vittorie di Obama in Alabama o South Carolina, assieme a quelle in Utah, Idaho, Nebraska, North Dakota, Kansas e Alaska promettono di mettere insieme una nuova coalizione, aperta a elettori indipendenti e repubblicani delusi. Nel lungo periodo questa è certamente la strategia di maggior respiro ma, nell’immediato, resta vero che in questi Stati nessun candidato Democratico ha vinto un’elezione presidenziale dal 1964.
La scelta fra queste due strade, e questi due candidati, dipenderà quindi da una valutazione dei leader del partito (e degli elettori della Pennsylvania): “Nel 2008, possiamo gettare le vecchie mappe geopolitiche dell’America o no?” L’opinione di un conservatore che se ne intende, Michael Barone, è che sì, si può. L’opinione dei consulenti della Clinton Mark Penn e Harold Ickes è che no, non si può. C’è solo da sperare che il dilemma sia risolto senza una lotta fratricida, ben inquadrata dalle telecamere, nel prossimo agosto a Denver.

48 ore con le donne di Hillary


(da CFP NEWS Anno 4 Numero 118 – 7 marzo 2008)

di Valentina Pasquali, Cleveland, Ohio.

Cleveland è una città estesa, fatta di villette a schiera a uno o due piani, e accerchiata da fabbriche e magazzini arrugginiti ed abbandonati, che bloccano l’accesso al Lago Erie, uno dei più grandi dell’America del Nord, e storica via comunicazione acquea per le fabricche di Ohio e Pennsylvania. Il centro degli uffici è riconoscibile da lontano, per gli edifici in mattoni che s’innalzano sul resto della città, piatto e monotono. Superior Avenue è il largo viale centrale che attraversa Cleveland da est ad ovest, parallelo al lago. Hillary ha due uffici in città, uno all’estremo Ovest e uno all’estremo Est. La sede di Rock River Road è in un locale rettangolare normalmente adibito a negozio e allineato con esercizi commerciali, come take-away cinesi e un lavasecco, sotto il portico in cemento di un prefabbricato a un solo piano nella periferia residenziale.
L’organizzazione della Clinton ha cercato di mandare il proprio messaggio soprattutto alle donne, e donne sono anche la maggior parte tra i volontari, soprattutto signore sovrappeso di mezz’età, una caratteristica demografica che differenzia i sostenitori di Clinton da quelli di Obama, per il quale normalmente lavorano ragazzi giovani di entrambi i sessi.
Erin è la “supervolontaria” dell’ufficio; supervolontaria e supermamma, visto che ha cinque figli. Il più piccolo compie oggi un anno e le sta in braccio mentre lei telefona agli elettori. Erin è nata e cresciuta a Cleveland, vive qui a fianco ed è casalinga. Il marito è un pompiere. “Ho aspettato che Hillary si candidasse ufficialmente dal giorno in cui ho letto il suo libro It Takes a Village, mi dice. “Hillary mi piace per il semplice fatto che è Hillary, una donna che è stata in grado di superare ogni difficoltà”. Erin approva il programma per la sanità che Clinton ha proposto: “Ho cinque figli e con Clinton avrebbero tutti una copertura sanitaria".
Erin è un delegato. “Il Partito Democratico nel nostro distretto, il decimo, attribuisce ad entrambi i candidati 12 delegati a testa, sei uomini e sei donne,” mi spiega. “Per diventare delegato bisogna dare la propria disponibilità al partito e dichiarare di quale candidato si vuole essere delegato. Io ho fatto un po’ di campagna elettorale nel mio quartiere e sono stata eletta con il maggior numero di voti. Ho ricevuto circa 200 preferenze nell'elezione del 3 gennaio scorso. Questo significa che sono la capolista. Se Hillary vincesse anche solamente un delegato questa sera, sarei io ad andare alla convention di Denver in agosto”, conclude soddisfatta. "Ho cinque figli, ho bisogno di una vacanza!"
Lascio Erin e riprendo la macchina per attraversare la città percorrendo le grandi autostrade sopraelevate. Mi dirigo a est, verso il quartiere di Cleveland Heights, per fermarmi in un altro centro commerciale prefabbricato a un piano, nel quale si trova il secondo dei due uffici di Hillary Clinton. Anche questo esiste da un paio di settimane: le sedi sono state aperte una volta che i due candidati si sono resi conto che il Super Tuesday del 15 febbraio non aveva dato indicazioni definitive per la nomination democratica.
Questo ufficio è più grande del primo, ha le pareti intonacate in rosso, e, come in tutte le sedi di campagna elettorale, cartoni di pizze e di ciambelle sparsi un po’ dappertutto sul pavimento. Mi fermo a parlare con Mary Jo, nata in America da famiglia abruzzese. Mary Jo lavora come agente immobiliare e di conseguenza ha un orario flessibile che può gestire come preferisce. “In queste ultime settimane ho dedicato ogni momento libero a questa campagna”, mi dice. “Non appena aprono uffici in Pennsylvania vado anche lì", dice ottimista.
I volontari d’entrambi i candidati martedì portavano avanti le tre attività tipiche delle ore che precedono ed accompagnano il voto; gli attivisti chiamano lunghe liste di numeri di telefono, bussano alle portee di strada in strada e offrono un passaggio in macchina agli elettori che hanno bisogno di un mezzo di trasporto per recarsi alle urne. “Ricordiamo agli elettori tutti i temi per cui è importante andare a votare, e facciamo in modo che abbiano realmente la possibilità di arrivare ai seggi,” mi dice Luis, nell’ufficio di Rock River Road. Anche i volontari di Obama sono al telefono negli uffici delle campagne, o per le strade a contattare i votanti personalmente e a portarli in macchina alle urne. “Oggi abbiamo portato a votare una signora di 105 anni”, mi dice Mateya, una sindacalista di Washington che sostiene Obama.
Martedì, mentre in tutto l’Ohio si andava alle urne, Cleveland è sprofondata nel gelo, assalita dalla furia di una tempesta di ghiaccio e di un vento fortissimo. Le strade e i marciapiedi sono diventati una pista da pattinaggio, e la pioggia, la grandine e la neve hanno dominato la giornata. Nonostante questo, i volontari hanno passato il 4 marzo in giro per la città a parlare ai votanti. Gli straordinari livelli di partecipazione elettorale nelle primarie di quest’anno sono una prova dell’efficienza e della dedizione di questo esercito democratico di umili militanti. Le donne di Hillary, alla fine, hanno convinto più elettori dei giovani di Obama.

giovedì 6 marzo 2008

Donne per Hillary


Hillary è sempre attenta a coltivare la propria base. E questo spot, creato da e per le donne, l'ha sicuramente aiutata nell'importante vittoria in Texas

Texas, il giorno dopo: Hillary attacca Obama



6 marzo 2008. Hillary Clinton, intervistata da MSNBC, decide di attaccare duramente Barack Obama sulla mancanza di esperienza in politica estera.

mercoledì 5 marzo 2008

McCain perde le staffe



Uno dei riconosciuti limiti di John McCain. La pazienza.

Hillary, discorso della vittoria in Ohio




Dopo la vitale vittoria in Texas, Ohio e Rhode Island. Hillary parla ai suoi sostenitori dal palco del Centennial Park di Cleveland, Ohio

Texas e Ohio mostrano che la candidatura di Hillary Clinton è ancora una possibilità

Vincendo largamente in Ohio, e di stretta misura in Texas, Hillary Clinton ha mantenuto viva la sua candidatura e rinviato alle primarie in Pennsylvania, il 22 aprile, la decisione finale su chi sarà il candidato democratico per le elezioni presidenziali in autunno. Per il momento, la maggioranza dei delegati alla convention del partito rimane favorevole a Barack Obama, come si può vedere dal New York Times. Due analisi degli exit poll tra gli elettori democratici, qui e qui. Ora il problema del partito è evitare una pericolosa divisione interna che potrebbe risultare fatale in novembre.

martedì 4 marzo 2008

lunedì 3 marzo 2008

Il viaggio di Barack Obama per l'Ohio



Dal sito ufficiale di Barack Obama

Un profilo del movimento per Barack Obama in Texas



Dal sito ufficiale di Barack Obama

Hillary cerca il voto ispanico





Hillary si rivolge all'elettorato ispanico prima delle vitali primarie del 4 marzo in Texas, Ohio, Vermont e Rhode Island

domenica 2 marzo 2008

Hillary come partner



Uno spot "populista" ideato dallo staff di Hillary Clinton. "I ricchi hanno avuto un presidente al loro servizio per già troppo tempo". Si tratta di un video molto trasmesso, ma prevedibile e di scarso effetto.